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KRISTINE SCHOLZ  "Scholz plays Otte & Cage"
   (2022 )

La pianista tedesca Kristine Scholz è una performer dei tasti bianchi e neri da almeno 50 anni, e in quest'occasione ci propone brani di due importanti figure del Novecento: Hans Otte e John Cage.

Di Otte ha selezionato 4 dei 12 pezzi di “Das Buch der Klänge” (“Il libro dei toni”), scritti tra il 1979 e il 1982; per la precisione, sono il quarto pezzo, il secondo, il nono e il dodicesimo. Mentre di Cage esegue “Music for piano: 4-19”, del 1956. Innanzitutto, c'è poco da dire sul piano tecnico: la fedeltà all'originale dei pezzi con Otte non fa distinguere tra loro le due versioni, se non per piccolissimi particolari, come ad esempio l'inizio in “2” leggermente più lento, per poi assestarsi alla velocità prefissata. Ma dev'essere una faticaccia, suonare quell'infinita serie di arpeggi senza stacco alcuno, per quasi dieci minuti. Diciamo che quell'inizio è una “concessione” all'espressività. Il perché sia una concessione, lo capiremo tra poco.

C'è qualcosa che va oltre la fatica fisica, un pensiero che sta dietro al minimalismo di queste composizioni. Sia Otte che Cage hanno attinto dalla filosofia orientale, in particolare Cage dallo Zen. Entrambi volevano raggiungere un obiettivo: superare la retorica romantica europea, il concetto della musica in quanto espressione drammatica dei sentimenti dell'autore, ed abbracciare un approccio più meditativo, e al contempo sensoriale.

Otte concepisce “Das Buch der Klänge” come una volontà di far avvicinare chi ascolta al suono, ma proprio quello fisico, il suono come fenomeno acustico, spogliato di ulteriori significati. Parla di un suono “nel quale si può avere voce in capitolo, ci si può riposare, ci si può vivere”. Vivere in simbiosi col suono. Non si vuole più guardare al suono come ad un mezzo attraverso il quale una personalità artistica si esprime. Anzi, glielo si vuole proprio sottrarre, l'ego dell'autore! Con Cage, il processo si fa ancora più radicale: non è il più suono ad essere un mezzo, bensì il musicista a diventare un mezzo che fa emergere il suono in quanto tale, in quanto fenomeno NATURALE. Suono o rumore non fa differenza: è chi ascolta, che decide che quello che ascolta sia musica.

Capito questo, ci possiamo addentrare nella “Music for piano: 4-19”. L'approccio aleatorio (cioè “casuale”, seguendo l'alea), fa sì che le note che ascoltiamo non costruiscano melodie o accordi, ma costituiscano eventi: cose che accadono. Alcune note di pianoforte risuonano familiari, altre invece hanno il timbro modificato: sono le famose corde “preparate”, cioè oggetti inseriti tra le corde del pianoforte, per farle suonare diversamente. In tutto questo, Scholz sparisce, come da copione.

Questo tipo di musica non serve né ad esaltare il virtuosismo dell'esecutrice (che però un orecchio tecnico nota, soprattutto nei pezzi di Otte), né a strappare lacrime coi fazzolettini a chi ascolta, considerato un cliché ottocentesco. Se le orecchie si sintonizzano nel modo corretto, questa musica aiuta ad aumentare la consapevolezza di essere vivi, senza costruirci estasi fittizie, visioni divine. Si può sentire la vita scorrere, ci si sente vivere. Questa è la vera catarsi.

Siccome ormai siamo anche oltre l'avanguardia, siamo alla retroguardia – temo addirittura una restaurazione, un neo-qualcosa assolutamente reazionario – se volete avventurarvi in uno dei momenti più evoluti della cultura, nel futuro (che si è fermato a quarant'anni fa, per poi dare ragione ai Devo), partite da quel che propone Kristine Scholz qui. E poi approfondite tutto John Cage, non solo 4'33” (che resta l'idea più iconica). (Gilberto Ongaro)