recensioni dischi
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VINCENZO GRIECO & THE EXOPLANETS  "Outer space"
   (2022 )

Ahi ahi direttore, mi hai tirato lo scherzetto. Appena approdato il vostro affezionatissimo sulla plancia di comando di Music Map, ossia nientepopodimeno che nella redazione, ecco che gli viene recapitato un album di digestione complessa, ché l'alkaselzer da solo non basta.

Bello il nome della band, ma sotto il vestito poco o niente. Di solito negli esopianeti, pieni come siamo di noi stessi di principio antropico e intossicati di antropocene, speriamo di trovare qualcosa di simile a noi.

Ci acconteremmo di gran lunga, dopo anni luce di sbattimento, viaggi criogenici e pieghe spaziotemporali, di trovare anche solo un macmenu e una decente serie alla tv. E poi a chi troppo vuole nulla stringe, capita come alla presidente Usa del benemerito film "Don't Look up" (non spoilero la fine, guardatevelo e capirete).

Insomma servirebbe un po' di umiltà, parbleu, e voglia di uscire dagli schemi e sognare cose mai suonate. Pensate alla svolta dei Radiohead, che piaccia o no, all'altezza dell'inarrivabile trittico ''Ok computer''-''Kid A''-''Amnesiac''. E invece qui ecco pronto da consumare un buon compitino per l'accademia del rock che spicca il volo solo di rado, ad esempio in ''Wicked times''.

Un disco che mette le note, intonate e rabbiose come vuole l'etichetta rock, sempre al punto dove ci si immagina che siano perché le abbiamo già ascoltate. Per il batticuore serve ben altro, imho. Per un momento ti catapulti a fine anni ottanta, inizio novanta (il muro è caduto e il secolo è gia finito, ma manco per niente ti diranno i decenni a venire), con quei duetti di voce femminile pensi di rimanere non dico agli inattingibili Style Council (Euterpe li abbia in gloria), ma almeno a Prefab Sprout, Deacon Blue, quella gente lì, poi ti trovi un altro pannello della pala d'altare con gli Scorpions per le chitarre ritmiche, ma non c'è la simpatia sorniona di un David Lee Roth, un disco che non sa bene dove collocarsi, tra ''This is the Final countdown'' e qualcosa dei Red Hot orecchiato durante le ripetizioni della school of rock, ma di Frusciante e soci non possiede almeno non ancora la perentoria e simpatica autorità.

Insomma voto 5 e mezzo. Onesto rock senza pretese per scollinare su una duna con un suv decappottabile, o da titoli di coda di un film di serie b. Ma sono tempi di austerità e meditazione non di rock uscito fuori tempo massimo, che al massimo puo esaltare qualche squinzia o squinzio undicenne ma che adesso, fidatevi, ascoltano ben altro.

Insomma signori, cospargetevi il capo di cenere o ruggine sonora (magari soul, magari un bagno nel Gange come gli inarrivabili Kula Shaker), perché non basta la tecnica pur collaudata e certificata e non basta l'accademia. Sul piano strumentale nulla da dire, ma a voler essere ancora più pignoli e antipatici l'impianto voci, pur con tanto fiato in gola, sarebbe da rivedere. E ricordatevi di aggiungere un distorsore quando meno te lo aspetti e non i soliti effettucci di maniera.

Una svolta sarebbe salutare. La vita è fatta di scarti, salti e crisi. Altrimenti al verbo salutare scatta subito nella memoria il ritornello tv di ''Gioca jouer''. (Lorenzo Morandotti)