recensioni dischi
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KITCH  "New strife lands"
   (2022 )

L’ottima miscela estetica performata dai Kitch e che va dal funk al metal, passando per il post punk, mette in mostra una band con idee e dirompente energia.

Ogni brano sembra un episodio a sé e ciò dimostra che è palpabile una certa sensibilità per quello che succede intorno al villaggio globale.

‘New Strife Lands’ comincia a decollare dal terzo brano in scaletta, preceduto però da un paio di interventi vocal-strumentali, interessanti nel loro intenti oscuri e progressivi. ‘Cracky’ suona onomatopeico, un “crack” appunto, un sorta di manifesto metropolitano, dove si mischiano voci strampalate con suoni e ritmi metal ma dall’incedere funk.

‘Charismatic’, se immaginato cantato in tedesco, potrebbe ferire l’orgoglio dei Rammstein: duro, rumoroso, metallico ed ossessivo, probabile specchio del disagio che dilaga in qualche metropoli del nord Europa. In un certo modo e con le dovute proporzioni, è una proposta che fa venire in mente le turbe sonore degli americani Sleepytime Gorilla Museum, che passano dal raccontare lento di un incubo all’improvvisa sfuriata metal di un risveglio ancora più crudele, lasciando che simbolicamente s’incarni il maligno interiore, che ognuno domina o scatena a seconda di come si sente in questo mondo.

Da parte loro, i Kitch, con questo loro album, raccontano anche loro inquietudini altalenanti, senza un ordine precostituito o logico, proprio come i conflitti che si potrebbero generare durante la vita quotidiana. Come su ‘Sygyzie’, per esempio, dove i suoni pacati di pianoforte che stridono con rumori ed elettroniche, fanno intuire le difficoltà interiori delle nostre esistenze. Quindi le riflessioni espresse in un’estetica post rock ed un cantato che parte riflessivo e che cerca disperatamente ed ossessivamente qualche appiglio esistenziale (il successivo ‘The Only One Solution’).

La storia diventa così una progressione di turbolenze interiori, perché da momenti di depressione come quello appena descritto, sembra poi subentrare quello del riscatto o, se si vuole, l’incarnazione del demone. Pertanto ‘Cabaner/Absent again’, un opportuno pezzo alla RATM, con ritmi punk metal e una chitarra acida ed invadente, che contrastano una voce che descriverei tra lo scream e l’hip-hop.

Un album che ho sentito come un continuo tormento, che nel finale raggiunge però uno scopo. ‘Etrave’ riassume uno stato d’animo trasformato ed i suoni si fanno più lievi, onde sonore pink floydiane che ben descrivono lo stato d’estasi vagamente “space”, fatalmente nell’ultimo momento della narrazione, rivelando una possibile soluzione del conflitto durato tutto l’album.

Alla fine, chiamando in causa più di qualche titolo, ho voluto sottolinearne l’unicità apparentemente scomposta. Ma forse era semplicemente un modo per riuscire a spiegarne le caratteristiche senza apparire banale. Perché, in definitiva, mi sono trovato a che fare con un album duro, anarchico ma intrigante. (Mauro Furlan)