recensioni dischi
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MIGRAINE  "Migraine"
   (2022 )

Bastano sette note e sette brani per capire di che pasta musicale si è fatti. Ed ecco servito con i Migraine un ricco menu fatto di epiche cavalcate, gagliardi riff di chitarra elettrica, ritmi coinvolgenti e non banali, momenti energetici e rabbiosi e pennellate malinconiche.

Questo e molto altro in un disco che non delude ma intriga ascolto dopo ascolto, specie nel dopopranzo, per non arrendersi alla tentazione della pennica. Ma andiamoci piano con i facili elogi, motiviamoli. Facile scivolare nella retorica.

Edoardo Camurri, colto divulgatore che si muove con disinvoltura tra letteratura scienza e sociologia, nel suo programma didattico sulla Rai ha presentato qualche giorno fa un algoritmo capace di ricreare una canzone perfetta in stile Nirvana: gli dai in pasto la loro discografia e lui te ne ripropone cloni artificiali, a richiesta. Ma la creatività nasce dal contesto, come dice l'ex Talking Heads David Byrne nel suo libro dedicato ai meccanismi della musica, non è un lampo creativo individuale come sostenevano i romantici.

Ecco allora che nella Puglia che ha dato al mondo la taranta e tante altre meraviglie culturali si è stati capaci di incubare e innestare e lanciare per il mondo, migranti tra migranti, un pezzettino della Seattle grunge degli anni Novanta, pronta a scatenarsi e a scatenare l'entusiasmo in questo fosco e bellico e incertissimo e sulfureo 2022.

Certo gli anni non sono più quelli, modelli come i Nirvana sono inarrivabili, facile trasformare una garage band che odora dei sacri Soundgarden in una parodia di parodie come i Nickelback, e sarebbe ingiusto pretendere peraltro che nel vocalist di questo gruppo pugliese Migraine, pure tosto e coeso e che si percepisce fa musica con piacere di farla (sono o no la patria delle orecchiette?), si reincarnasse per incanto la voce maledetta di Kurt Cobain come è avvenuto, peraltro ancora vivente Syd, con la voce di Barrett che è risorta grazie a Robyn Hitchcock, sia in sede elettronica che in sede acustica.

E poi non di sole cover o cloni vive la musica, parbleu, ma di contaminazioni e di contesti e cuori gettati oltre gli ostacoli, e quindi nel meritarsi un otto e mezzo pieno per la carica adrenalinica somministrata da queste sette opere musicali riunite nel primo album, con sfumature hard e un po' di elettronica per avvicinarsi a una ipotetica colonna sonora di Matrix (V, visto il tutto sommato abortito IV episodio) e voli pindarici alla Hendrix e qualcosa anche dei Pearl Jam e dei nostrani Csi di Maroccolo Magnelli e soci, e degli Zen Circus di Appino, li si rimanda anche metaforicamente a settembre per verificarne l'impatto live e la conferma delle allettanti promesse documentate nel primo album di esordio in un prossimo auspicato lavoro.

Anche solo un ep, per carità. Non si può vivere solo di note sanremesi e di Maneskin. (Lorenzo Morandotti)