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WINDEMO & STRID – WÄRNHEIM & INGVES  "FRIM3 - Split series vol.1"
   (2022 )

La FRIM è The Association for Free Improvised Music, co-fondata nel 1976 da Raymond Strid in Svezia. E ha deciso di pubblicare una serie di split album, cioè album che contengono proposte di due diversi progetti. Questo è “FRIM3 – Split Series Vol. 1”, di Windemo & Strid, che suonano le prime quattro tracce, per un totale di una mezz'ora, e poi l'ultima, un'unica performance di 21 minuti, di Wärnheim & Ingves.

Ok il jazz. Ok il free jazz. Ok la libera improvvisazione. Qui però, con Windemo & Strid, si arriva al caos. Un caos neppure troppo roboante, ma un disordine totale. Uno alla chitarra acustica, l'altro alla batteria, cimbali e percussioni, i due costruiscono quattro performance senza capo né coda. Senza una melodia improvvisata su cui poi inventare. Nessun ritmo creato al momento, da contraddire in seguito. L'esecuzione resta amorfa dall'inizio alla fine. Forse perché stiamo sbagliando vocabolario.

I titoli delle 4 performance possono suggerire l'interpretazione: “Bugs want some peace and quiet in the garden”, “The invisible old bench in the garden”, “Flowers claim their space in the garden”, “Life and death are eternal in the garden”. Insomma, lo spazio di meditazione da considerare è questo giardino, in cui gli insetti vogliono pace e tranquillità, c'è una panchina invisibile, i fiori reclamano il proprio spazio e in cui la vita e la morte sono eterni. Difatti, nel giardino c'è spazio per tutti, animali e piante, e questa “panchina invisibile” aggiunge un elemento di trascendenza alla visione.

Windemo si approccia alla chitarra in maniera rapsodica, eseguendo spesso e volentieri accordi dissonanti e staccati, fermandoli subito, e giocando con gli armonici. Strid invece, percuote tutto ciò che ha in maniera aritmica, e sembra di camminare in una stanza piena di giocattoli sparsi, che si spostano continuamente. I due però sono in costante ascolto reciproco, tutto sta nell'interplay. Quando uno inizia a “scaldarsi”, a toccare lo strumento in maniera più intensa, anche l'altro lo fa, creando un continuo dialogo, alla ricerca però di nuovi vocaboli. E' come se improvvisassimo a scrivere, però invece di prendere le parole e mescolarle, mescolassimo anche le lettere, per crraee nvuoi lguaigngi hce pnososo aripre artli mndoi.

Il loro approccio rodato è giocoso, leggero, spiritoso. Diverso il clima del duo piano – sax, nella traccia “Jag ser ovädret”. Marcus Wärnheim al sassofono, ricerca toni mesti al sassofono, che ricordano un po' le inquietudini dei sax dell'ultimo disco di David Bowie. E lo stesso vale per il pianoforte di Karin Ingves: non compie mai gesti brillanti né comici. Il suo incedere è oscuro, ricerca dei pattern che reitera, modificandone di volta in volta qualche accento ritmico, aggiungendo e togliendo qualche nota al patchwork di tasti, accelerando e decelerando. Verso la fine, il sax resta solo, intonando delle note che sembrano più dei sospiri. E si conclude con dei suoni di corde percosse – forse quelle del pianoforte toccate direttamente a mano? Si sente la differenza di approccio dei due diversi [plurale di duo?]. Il primo più divertito, il secondo più problematico, più cupo. Fa parte della volontà della FRIM, utilizzare l'improvvisazione musicale come espressione di diverse interiorità, e il confronto fra di esse. (Gilberto Ongaro)