TIBERIO FERRACANE "Magaria"
(2022 )
“Io sono la casa che ho vissuto”. Noi siamo la nostra casa d'infanzia. Per quanto grande, piccola, spoglia o ricca che sia stata, è quella che ci dà l'imprinting. Questo sembra essere lo spirito che accompagna la concezione creativa di Tiberio Ferracane: scrive di case, che portano i suoi suoni, odori, colori, sapori e tessuti, narrati con la sua voce molto graffiata. Nell'album “Magaria”, uscito per la MoovOn, Ferracane riversa le proprie origini e dei propri genitori, che sono diverse: egli è torinese, nato da genitori venuti al mondo a Tunisi da nonni siciliani. Così, nel disco si alternano tracce cantate un po' in italiano, un po' in siciliano e un po' in francese, come si sente subito ne “La casa sognata”, singolo dove il pianoforte sembra accennare alla ritmica dello standard jazz “Take five”, ma la canzone è in 6/8. La ritmica è fredda ed incalzante nella strofa, nel ritornello si riscalda con il crescendo melodico. Alla fine arriva la fisarmonica, a sprigionare il calore espresso dalla musica.
Un pianoforte caramelloso introduce “Il mio amore di rosso vestita”, dove un ingenuo innamorato resta “interdetto con il fiore in mano”, non avendo capito di chi ha perso la testa. Il folk pop del cantautore scorre gentile sotto le parole, addolcendo la malinconia. La titletrack, che significa “incantesimo” in siciliano, ripropone l'alternanza poliglotta, cantando il ritornello: “Magaria, mi rigisti, mi scantai, rispunnii”, e poi il ritornello viene cantato in francese. Il pianoforte caramelloso apre anche “Vento di scirocco”, dove Ferracane si cala nei panni del capitano di una nave: “Nelle notti scure senza luna, io ammetto ho un po' paura, e un capitano non dovrebbe averne, si sa”. I genitori diventano i dedicatari della successiva “Dall'altra parte della notte”; racconta partendo dai nonni, siciliani che partirono per l'Africa come immigrati e ritornarono in patria come profughi: “Mia madre che cucina ti risponde in francese si sente l'Africa nell'aria (…) le bestemmie di tuo padre, terra bella ma ingrata”. Il brano gioca armonicamente sul sus4, giocando facilmente di commozione nel finale, con tanto di rumori suggestivi del mare e della sirena della nave.
Con un ritmo vagamente latino (riprendendo un pianoforte simile a quello de “La casa sognata”), parte “Sciavuru di mari”, ma resta più impressa la dedica a “Carlo”, divertente marcetta rapida col piano in levare, stile “W gli scout” di Baccini. Le parole raccontano luci e ombre dell'amico scomparso: “Carlo si dice abbia poca voglia di studiare, ma legge molto e di questo non ne parla con nessuno (…) Carlo, fuga furti polizia (…) Carlo ieri mi ha detto non ho più visto il mare, fresca è la notte sulla strada, c'è una spiaggia che ci aspetta”. “Ci vorrebbe ancora un po' di neve” chiude le canzoni cantate, con un po' di malinconia, ma con parole un po' meno ispirate rispetto agli altri brani.
E qui, la seconda metà del disco dà spazio a delle cover, di autori legati al cantautore. Cominciando da “U' pisci spada” di Modugno, che inizia con il vociare siculo del mercato (un po' come il finale di “Creuza de ma” di De André, che termina col vociare genovese). Ferracane decide di cantare nel silenzio totale. Buona scelta. Poi c'è un classico napoletano: “Era de maggio”. Le chitarre qui sono di Philippe Troisi, che ha collaborato a gran parte delle canzoni di Ferracane, ma poi è scomparso. L'album è a lui dedicato, tanto che Tiberio ha voluto tributarlo, mettendo in chiusura al disco “Valse à Rocco”, uno strumentale chitarristico trovato tra gli appunti di Troisi.
Poi è il turno di “L'italien”, canzone che canta degli italiani immigrati in Francia. Interessante testimonianza da scoprire, per chi come me non la conosceva. Questa versione sulle chitarre è abbastanza sobria, ma ascoltatevi la versione di Serge Reggiani: puro stile francese, con la stessa grandeur di Aznavour. Molto bella la versione di “Capodanno” di Califano, che ben si sposa con la voce di Ferracane. “Un'ora sola ti vorrei” mantiene la struttura della versione della Vanoni, e in “Storia d'amore” di Celentano, Ferracane personalizza il momento topico della canzone (“Sembraaaaava un aaangelo”, si trasforma in uno spezzato parlato: “Sembrava.... un angelo...”), ma mantiene l'intensità della versione originale.
“Magaria” è un disco ricco di folk geolocalizzato, sembra che ascoltandolo si conosca Tiberio di persona. (Gilberto Ongaro)