recensioni dischi
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CRUSH STRING COLLECTIVE  "Aeriform"
   (2022 )

Fare “jazz”, nel senso di improvvisare e affidarsi all'interplay, ma farlo con gli strumenti per musica da camera: due violini, due viole, tre violoncelli. Questa è l'idea alla base del settetto danese Crush String Collective, che dà vita al disco “Aeriform”, che presenta dodici tracce programmaticamente amorfe, non strutturate.

Uscito per la Barkhausing Recordings, l'album si ispira a ciò che è aeriforme, l'aria, l'ossigeno, l'azoto, tutto quello che non vediamo ma che c'è, ed è informe. E ogni particella di gas fluttua accanto all'altra, senza soluzione di continuità, ma ognuna stimola l'altra. Tradotto in termini musicali, ogni strumentista segue un'ispirazione, e gli altri la seguono rispondendo con altre improvvisazioni, a loro volta poi seguiti dagli altri e così via. Si creano così, spesso e volentieri, dei tappeti sonori di lunghe note, in “Blooming”, “Waves” e “Intermezzo I – Lotus”, restituendoci una serena brezza.

Ma se c'è bufera, che si fa? “Nymphalidae” è un minuto e mezzo di travolgenti trilli, che poi in “Isbre” diventano degli inquietanti pizzicati bartokiani. “Vieni a giocare con noi Danny!”... No, non ci sono le battute di ''Shining'', però all'inizio ricorda proprio quella colonna sonora. Poi, i violini virano in note sfrigolate e quindi, per continuare la simulazione del processo fisico dell'aria, anche gli altri archi fermano il pizzicato e iniziano a sfrigolare. Il processo porta il brano a finire in una tonante tempesta di violoncelli.

L'esperimento si fa sempre più di difficile descrizione, arrivando a “Solhjul”, tra glissati, e una sospensione surreale. Con “Choral I – Prisma” si cambia tono: gli archi sembrano simulare i riflessi di un cristallo che riluce. Un movimento sotterraneo avvia “Svärm”, crescendo gradualmente di dinamicità, in maniera caotica. Invece “Kaldet” sembra iniziare in maniera solenne, ma il clima grandioso si smorza dopo pochi istanti, lasciando una viola solitaria nel silenzio, poi imitata e rincorsa dagli altri, sforzando sulle corde fino ad ottenere un insolito suono nasale.

“Intermezzo II – Fetus” ci riporta alla brezza di inizio album, con meno serenità e più introspezione. “Aeriform”, la titletrack, riporta un po' di brio, ma gli archi in certi punti sono cattivi come forchette sul piatto. Con “Chorus II – Aurora” facciamo pace, tornando alle luci cangianti del cristallo di prima.

Molto sperimentale, questo disco dei Crush String Collective. Entrare nel processo creativo non è immediato, e per non perdersi bisogna sempre tenerlo a mente durante l'ascolto. I singoli esperimenti sono gradevoli, presi a piccole dosi; l'intero disco nel complesso risulta di difficile fruizione, tutto di fila. Ma sono i rischi di associare un approccio, quello dell'improvvisazione, a un organico, quello cameristico, abituato a un altro tipo di performance. E questi “rischi” vanno sempre incoraggiati, quale che sia l'esito, perché ogni tentativo di rottura di schemi, può creare nuovi mondi. (Gilberto Ongaro)