recensioni dischi
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HLFMN  "Double mirror"
   (2022 )

Quando l'umanità non ci sarà più e, in uno scenario alla Matrix o alla Terminator, le macchine avranno l'arduo compito di trovare un senso al proprio resistere sul pianeta, forse musiche come queste contenute nel nuovo lavoro del producer "Half Man" (si scrive senza le vocali come nella lingua ebraica o in un codice fiscale) si propagheranno libere nella rete, nell'aria, e anche sotto la superficie del mare o di ciò che rimarrà degli elementi primari.

Saranno canti di libertà presunta, codici a barre contenenti il senso di entità umane decomposte, conglomerati sonici ancestrali, nostalgie di una dimensione perduta, vessilli di un passato che si fa presente e ambisce a uscire dai lacci del tempo, per costituire la ragione di un perenne qui e ora.

Ma, appunto, per ora l'umanità resiste nonostante faccia di tutto per sparire, e questa musica è ancora creata dal suo sensibile ingegno, dalla capacità di asservire ai propri destini, manipolandone strumenti e voleri, le macchine cieche che stanno per prendere il comando, e così la musica si fa domanda muta, specchio ustorio e urticante, drammatico, epico a volte, di ciò che siamo e vogliamo essere, si insinua ipnotica e sensuale sotto la pelle, cerca di insediarsi e insidiare i tunnel vascolari e neurali, le cellule, i tessuti, i tegumenti.

Dall'alto del loro trono digitale i Chemical Brothers dell'inarrivabile "Push the botton", e i Dead Can Dance vieppiù sulla loro rupe eburnea, possono considerarsi soddisfatti di avere epigoni di tale schiatta e di tale lignaggio, capaci di partorire tra sperimentalismo e astrazione, non senza strizzatine d'occhio etniche in salsa orientale, quella che siamo indotti a immaginare una colonna sonora "piano B" di film epocali come l'indimenticato "Il quinto elemento" di Luc Besson.

Voto 8, meritatissimo anche perché qua e là ci scappa anche il dondolio del piedino in chiave dance. A tal proposito, auspicabile una versione estrema da sabato sera, abarthizzata soprattutto nella velocità dei ritmi e magari con trattamenti sonori alla Brian Eno, per uscire definitivamente - cum grano salis - dalle secche rumorose della realtà. (Lorenzo Morandotti)