recensioni dischi
   torna all'elenco


ATLANTEAN SORROW  "2020"
   (2022 )

Alla batteria: Troy. Al basso: Troy. Alla chitarra: Troy. Alle tastiere: Troy. Insomma, tutto ciò che ascoltate in “2020”, è stato registrato dal polistrumentista statunitense Troy, in arte Atlantean Sorrow.

A dispetto di quel che potete immaginarvi, con un titolo così, “2020” non ha nulla a che fare, come tutte le uscite di quel periodo, col solito evento mondiale pandemico che ha influenzato tutti. Perché, uscito per Sinistrari Records, l'album è stato registrato nel 2019 ed è uscito il 14 febbraio 2020. Quindi, poco prima del patatrac in Italia. Dunque, a meno che il nostro non disponesse di doti di divinazione, questa visione è totalmente scevra dalle pare che ormai abbiamo tutti nel cervello, vista l'esperienza traumatica.

Eppure, sarà l'intuito degli artisti, o sarà perché l'oscurità è sempre esistita, per tanti altri motivi, questi 6 brani, di circa 6-7 minuti di durata ciascuno, vanno in direzione dark. Il sound si rifà al metal dei primi anni '90, mescolato però ad una fitta texture elettronica (definita “laser sounds”), che richiama gli scenari di fantascienza. Oltre al sound graffiante quindi, c'è anche l'immaginario cyborg. Le tastiere, con i loro strings, rendono il clima da telefilm d'alta tensione, specie nella titletrack.

“Observation Satellite” contiene degli arpeggi synth che ricordano vagamente l'atmosfera inquieta di “Satan eats seitan” dei Julie's Haircut. Poi però il brano si sviluppa su una maggior luminosità (per la tonalità maggiore). Suoni di circuiti, urla, e una voce che dice: “That's what I call science”. Così si apre “Project Cyobrg”, la quarta traccia, che si può prendere come esempio per descrivere il lavoro, che appare abbastanza coeso, da “Test pilot” a “Von Braun”. Uno spirito atmosferico aleggia su tutto il lavoro, spesso con la batteria che si spinge nel death, con blast beats e charlie aperto.

Si sente l'unità d'intenti di Troy ad ogni strumento registrato: spesso, tastiere, basso e chitarra vanno all'unisono, di pari passo con degli obbligati di batteria. Probabilmente una formazione da band avrebbe creato più groove differenziati, controtempi, alternanze eccetera. Ma questa solitudine monolitica definisce bene l'alienazione e l'isolamento, a cui saremmo stati sottoposti di lì a poco dall'uscita dell'album, anche senza l'avvento dei cyborg. Dunque, si può parlare di profezia, o solo fortuna? Semplicemente di sensibilità. E amore per la fantascienza! (Gilberto Ongaro)