GIULIO CANTORE "Di casa e altre avventure"
(2022 )
Ci son periodi ricorrenti, in cui gli artisti si affezionano alle pareti di casa propria, riscoprono (o meglio, hanno mantenuto intatte) le sensazioni dell'infanzia, per cui gli angoli delle pareti nascondono segreti e storie appassionanti. Era successo con “Le canzoni dell'appartamento” di Morgan, che voleva “ballare nel sottoscala”, così come con la canzone “Casalingo” di Bugo, affascinato dal “fuoco del fornello”. Ma erano scelte individuali, che ispiravano solo alcuni, altri no. Questi ultimi due anni di chiusure forzate invece, ci han costretto a condividere esperienze più o meno simili (dal punto di vista del luogo, ovviamente non delle condizioni sociali). E Giulio Cantore, che abita in una casa “aperta”, in una comunità, deve aver vissuto un'esperienza più particolare di altre. Tanto da considerarla un'avventura.
In questo contesto nasce “Di casa e altre avventure”, il nuovo disco del cantautore e liutaio. Ci sono 8 canzoni in cui emergono tre elementi costanti. Il primo è la passione per gli strumenti a corde, così ben registrati e messi in evidenza nelle loro peculiarità: chitarra classica, mandolino, acustica eccetera. Il secondo elemento è la presenza fisica della famiglia, nello strumentale “6.55” con le voci dei bambini. Si potrebbe parlare di un “field recordings” di interni anziché di esterni. E “La mia via”, brano principale cantato assieme a Giacomo Toni, torna poi in una seconda versione acustica, dove l'intera famiglia è coinvolta a cantare! Sembra di vederli muovere la testa di lato tutti insieme, prima di mangiare i Pan di Stelle!
Il terzo elemento è che nei testi, è frequente l'uso di cibo, sia metaforico che letterale. Il senso del gusto è sempre stimolato da queste evocazioni: in “Nevicare”, la neve è descritta come “bianca panna”, che “monta come un sogno al centro dell'inverno”. Inequivocabile la prima canzone “Frigo”, dedicata al freddo elettrodomestico, in cui “mezzo limone lo trovi sempre a destra”. O ancora “Pane”, dove si mischiano parole e farina: “Impastalo come parole, di tre ingredienti puoi fare mille storie, poi siediti e lascia maturare”. E anche quando il mangiare non è esplicito, ne “La mia via” si richiama una pendenza che “coltiva da sé un panorama nutriente”, mentre su “E metti caso”, tra le ipotesi spunta il “sale sparso su una tovaglia nera, un firmamento già condito, per noi che in fondo andiamo a braccio”. Un applauso per il “firmamento condito”, davvero! Adesso voglio mangiarmi il cielo!
Se non vi è già venuta fame, l'ultimo brano si chiama “Grondaie”: ma non temete, è strumentale. Non ci saranno parole d'acciaio a distrarvi dall'appetito stimolato. Solo una fisarmonica, le chitarre e tanto calore folk ad accogliervi. Perché casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia. (Gilberto Ongaro)