DENIS FRAJERMAN & ANTOINE VOLODINE "Variations Volodine"
(2022 )
Non uno, non due, non tre. Questo lavoro è composto da ben sei dischi! Il musicista Denis Frajerman e lo scrittore Antoine Volodine collaborano dal 1998, e questo cofanetto, intitolato “Variations Volodine”, immortala l'unione delle ambientazioni dell'uno e la prosa dell'altro.
Il primo dei sei dischi è costituito da una sola traccia di quasi 14 minuti: “Quatre poèmes en prose d'Antoine Volodine”, dove la voce di Volodine pronuncia le sue righe francesi, sopra un caotico fondo, che passa da battiti di archi a rumori da concrète musique. Già qui si sente l'intenzione, dichiarata dall'artista “post-esotica”, con le prime ambientazioni da giungla, con versi d'animali. Ma tale elemento emerge con più forza nel secondo disco, “Les Suites Volodine”. Animali feroci ed insetti circondano il primo brano, “Un cloporte d'automne”, accanto a una voce mediorientale. Chiaramente, l'accezione “esotica” ha senso solo agli occhi di un occidentale.
L'improvvisazione musicale si dirige spesso e volentieri verso un andamento semitonale (come le due note de “Lo squalo”, per capirci), molto sinistro e minaccioso. Tale movimento è surrogato dal sax e accompagnato da grilli, in “Incendie dans un cimetiere chinois”. L'atmosfera si distorce in “Au loin une poutre”, seguendo coordinate più africane, con tanto di kalimba (o mbira). Dagli uccellini si passa agli uccellacci, con “Le montreur de cochons”, per entrare in un clima sonoro da film d'azione. Insomma, questa sarà la cifra stilistica che caratterizzerà tutti e sei i dischi: aria minacciosa, suspense, versi di animali. E, dal terzo disco “Des anges mineurs”, torna anche la voce di Volodine, alternata in alcuni momenti, a un'altra voce femminile.
In questo terzo capitolo della... esalogia, ci sono tre tracce, rimarchiamo la terza: “Rachel Carissimo”, anche questa adatta ad uno spy movie, con tanto di tromba muta. Nel quarto disco, “Vociférations, cantopera”, l'”Ouverture” è tutta allarmata. L'inquietudine non cessa neppure in “Seizieme sanglot”, con un sax impazzito à la John Zorn. Nelle tracce successive, l'elettronica si spinge in un clima da videogioco anni '90-'00, con arpeggi dark come quelli di Medievil. I versi di animali qui si confondono: sono versi di animali modificati elettronicamente, o sono impulsi elettronici che simulano i versi degli animali? Mistero irrisolto, tra i presunti “cani” spaventosi e gli uccellini “acidi” di “Coda” (sia parte 1 che 2).
Il quinto album “Terminus radieux, cantopera”, è quello con più numero di tracce, suddivise in quattro concepts: “Kolkoze”, “Eloge des camps”, “Amok” e la bellissima serie “Taiga”. Qui l'attenzione si rivolge tutta alle creazioni di Frajerman. Dalle atmosfere folkloristiche di “Eloge des camps”, tra mandolino e chitarra balcanica, si passa alla barocca “Taiga”, che unisce un coro di “o” in staccato, un violino vivaldiano, e una chitarra elettrica con tremolo che invece suona molto americana. Una mistura assolutamente originale e coinvolgente, forse la composizione più intrigante di tutti e sei i dischi.
Infine, “Les fugues Volodine” è un'unica performance, suddivisa in 8 tracce. Riecco qui l'inquietudine semitonale, la viola orientaleggiante, l'atmosfera sospesa. In “Ne touche pas” si fa notare però un basso elettrico sferragliante, mentre in “Ne reviens pas a l'an zero” siamo catturati da un suono gassoso. Sembra tutto tranquillo finalmente, ma degli scampanellii fanno alzare le antenne, e il pericolo infatti si palesa, con delle voci mostruose verso la fine. Ma tutto finisce con acqua e zen.
Io non posso parlarvi di quel che dice Volodine, perché non so il francese. Ma suppongo che queste scelte frammentarie e all'apparenza tra loro contrastanti, trovino il loro senso sapendo cosa ci sta raccontando lo scrittore. (Gilberto Ongaro)