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ENTEN HITTI  "Via Lattea"
   (2022 )

Primi anni Duemila, Milano (non ricordo il posto ma ci misi un sacco a trovar parcheggio), live dei Sigur Ròs: atmosfere metafisiche, luci di candelabri, partono a basso volume suoni di vibrazioni eteree, si propaga un canto embrionale e ancestrale pronto ad avvolgere, a crescere dai pochi decibel al fragore.

Dal centro della platea, tutta in religioso silenzio di ascolto comprese al mio fianco un paio di algide slanciate e bellissime hostess della Icelandair, netto e deciso, si fa strada un rutto epocale - come quelli che fa in rete Yanagi19871 per i suoi 200mila fans - e lo strepito volgare scatena risatine ma non scompone minimamente gli islandesi ospiti giunti dalla lontana Reykiavik.

Questo aneddoto per dire che la musica è sì la casa del sublime, "fa bene al cuore e all'anima" come dice Platone, ma per colpire deve anche avere a che fare con le contraddizioni e gli scossoni del reale, deve immergersi nello sporco, nel sangue, nel fango, nella volgare miseria della trista condizione umana. Questo album "Via lattea" degli Enten Hitti sceglie altre strade e sintonie, e conferma una sperimentazione ambiziosa che parte da un solco rodato e lontano, evoca radici antichissime dal sapore medievale e anche più remoto, ma si proietta ben oltre il XXI secolo, ci invita a esplorare l'universo, a sentirci parte di una dimensione virtualmente infinita dove è possibile riconquistare una perduta grazia.

L'album del gruppo aperto fondato da Pierangelo Pandiscia e Gino Ape è fatto di ampie campiture corali, intrecciate con tappeti sonori che sono contemplazioni del sublime, il risultato è una collezione di 12 brani/apostoli da meditazione e preghiera, la metterei sullo stesso scaffale dei libri gialli e azzurri della Astrolabio/Ubaldini editore, potrebbe essere un'alternativa all'ossessivo gioco di pianoforte e cori firmato da Philip Glass per la inarrivabile colonna sonora di "Koyanisqaatsi" di Godfrey Reggio.

Come detto è musica da profondità abissale o da voli ad alta quota, e quindi senza mezze misure, da viaggio astrale ed etereo che culla l'anima e, evocando la memoria di un eternità femminile dimenticata da cui si dipana l'umana avventura, si rivolge con tono di preghiera, invocazione, salmodia, al rude remoto antenato con clava e scarsa prospettiva di vita media che alberga nel dna di ciascuno di noi. Lo stesso che invita oggi mascolinamente a fare rutti reali e metaforici, a dare ascolto alla pancia del paese, a esibire una bassa virilità machista ("portiamo una donna al Quirinale", Salvini dixit) riducendo l'altra metà del mondo, come diceva Mao, a condizioni di subalternità, e non parlo della dittatura talebana ma del qui e ora della realtà italica, con stipendi ridotti se sei donna e il datore di lavoro che ti chiede se hai intenzione di far figli al colloquio di lavoro. Altro che rutti.

Questa musica guarda decisamente altrove, indietro e oltre si diceva, è fatta di galleggiamenti, di nervi che si sciolgono e si rilassano come se facessero sauna in una Spa, musica che porta fuori dal corpo, non da viaggio on the road fatto di sudore e polvere (allora meglio B.B. King o George Thorogood), e così il suo pregio - arrangiamenti precisi, centellinati e cesellati, intelligenti incursioni nella tradizione della word music - è anche il suo limite: sicuramente meglio del biancospino in gocce che compri in erboristeria per placare le extrasistole dell'ansia e accomodarti in un placido sonno ristoratore e tornare ad affrontare la giornata seguente con più consapevole armonia e fede in una possibile riconquista della parità di genere, capace di accoglierlo con meno drammi e patemi.

Una musica che rasenta la perfezione, mai banale nella sua costruzione armonica - ascoltate ad esempio la circolarità di "Love's consequences" - ma che - ecco il suo limite - mai si contraddice, scivola, si sporca, anzi si compiace di sé stessa, della propria necessità e lentezza fuori dal caos della storia. Insomma, è una musica che piacerebbe al Peter Gabriel di "Up" (cavolo, compie già 20 anni) e ai Dead Can Dance, ma anche loro, l'ex Genesis e il duo Gerrard-Perry, sul tappeto sonoro davanti al caminetto metterebbero un po' di sesso in più, qualcosa di più carnale e ritmato, per attirare l'attenzione della plebe. Voto 6. (Lorenzo Morandotti)