LUCA PLOIA "Nato nel Medioevo"
(2021 )
Ok, sono forse troppo giovine per parlare di Luca Ploia, ma non abbastanza da non riconoscere le sue coordinate stilistiche. Vi manca la bella canzone di una volta, quella che faceva commuovere la gente, che la ascoltava attentamente e la imparava in una volta? Questo fa per voi.
Il tema dell'amore è sempre attuale, ci si innamora sempre. Ma nella scrittura delle sue canzoni, si sente chiaramente che Ploia si indirizza ad un preciso romanticismo “d'altri tempi”, quello del paradiso perduto, quello che una volta era tutto più genuino. Non per niente, il titolo del suo album è “Nato nel Medioevo”, esagerando un po' la sua collocazione nel passato. Suvvia, medievale non è! Al massimo sanremese, il che non è un male, anzi.
Forse però, la mia sensazione di “conservatorismo”, è fallace. Ploia si sta solo esprimendo con il linguaggio in cui si sente autentico, e allora non potrebbe fare diversamente. Solo che, iniziare la prima canzone del disco con: “Mi sveglio con un caffè nella mano, niente di nuovo, niente di strano”, sembra farlo apposta. Una dichiarazione di voluta normalità, una paradossale “umiltà ostentata”. Stessa impressione con “Buongiorno amore”, che parla ancora di caffè e frasi d'amore all'amata (“Hai un'aria d'altro mondo, hai un'aria d'altra vita”). Un po' come in “Stupidowski” di Cristicchi, ma senza l'ironia, facendo sul serio.
Alcune immagini evocate sanno proprio d'amante hippie, o post hippie, come in “Il mio grido per te”: “E una risata, e poi sotto una coperta senza più pensieri, liberi di far l'amore senza più paure, poi sdraiati sulla sabbia (…) adesso ho l'Harley, il mio chiodo addosso (…) quello che conta è averti sulla sella, tu viaggiare con me, io viaggiare con te”. Forse Ploia, sul lunotto della macchina ha quell'adesivo del chitarrista vagabondo di spalle. O via, si fa per ridere!
Il suo timbro vocale è familiare e amichevole, e ascoltando le canzoni ricorda qualcuno... Dopo un po' lo riconosco: Gianni Morandi. Ha quella stessa energia e lo spirito positivo. E il pop rock dritto, col basso che suona le ottave dritte, conferma la direzione. Poi, nel ritornello di “Un fottuto egoista”, si può apprezzare il sempreverde bicordo del blues (prima-quinta, prima-sesta maggiore, prima-quinta, prima-sesta maggiore), che ricorda i fasti del rock tradizionale (Lynyrd Skynyrd, Eagles, AC/DC eccetera).
Amore ancora protagonista in pezzi come “Nel sonno profondo”, col desiderio del “bacio più pieno, più vero del mondo”, o nelle fantasie di “Bello incontrarti”: “Vorrei parlarti di me fingendo di essere un re, coprirti di ogni bellezza”. L'arrangiamento contiene un solare coro di “t t t” e un pizzicato d'archi, rendendo il brano particolarmente leggero. Costante il concetto di vivere il presente, “godere questo momento, per poi soffiarlo nel vento”, così come nel brano in duetto con Stefania Martin “Proibito svanire”: “Prendi l'amore che meriti, lasciandoti amare un po', stringiti a me senza limiti, proibito svanire”.
Però un momento di tristezza c'è: “Ma quanto mi fa male” insinua la malinconia in una giornata bellissima, per aver perduto l'amore. Il ritornello qui sembra addirittura sfociare nel liscio, non quello degli Extraliscio, quello classico e nostalgico. Proprio qui, avverto un'altra influenza sotterranea, quella dei Pooh. Lupus in fabula, il disco si chiude con una cover del quinto dei Pooh, Riccardo Fogli. “Storie di tutti i giorni” viene spogliata dalla disco claustrofobica del 1982, e Ploia ci regala una bella versione pianoforte e violino (suonato da Michele Gazich).
“Nato nel Medioevo”, ribadiamolo, non è medievale; si inserisce nella tradizione della musica leggera italiana, con un certo grado di consapevolezza. Chissà, magari a Sanremo 2023... (Gilberto Ongaro)