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MARIO BAJARDI  "Lux - Theater works"
   (2021 )

Un turbinio di emozioni in una dimensione metafisica. Questo è “Lux – Theater Works” di Mario Bajardi. Presenta suoni che possiedono una propria personalità, e una funzione narrativa (seppur astratta). Fondamentale, per realizzare questo lavoro, è la cura minuziosa nel cercare dei precisi timbri, una tavolozza di colori che contribuiscono a creare un quadro iperrealistico e futuristico.

Lo capiamo subito sin dall'inizio del primo brano, “Abside”. Siamo accolti da un suono vitreo e levigato, ma contemporaneamente anche da un pianoforte e dal rombo di motori di macchina, nel traffico. Pattern sintetici, violino, vocalizzi femminili, nuovi aggeggi avanguardisti come il Roli, la sintesi granulare, tutti questi elementi cooperano a creare un ambiente originale e coinvolgente. Un sogno colorato e delicato, quasi una traduzione in musica dei film-confetto di Wes Anderson. “Medusa” regala dolcezza, mista a tensione per un'armonia che si complica, ma che non si risolve. In apertura a “Cascata” ritorna il suono vitreo dell'inizio, e capiamo che i suoni vengono trattati come personaggi di un copione: ritornano a più riprese, e dialogano.

Con “S.Orsola”, dopo un'introduzione minacciosa, ci immergiamo in un coro angelico, che però a tratti si agita in maniera innaturale; probabilmente, è uno di quei cori digitali di ultima generazione (come il Dominus della Fluffy Audio), ma se siete profani... mo' ve spiego, nun v'arrabbiate, abbassate quel labbro indignato. Non stiamo parlando di un coro “finto”, cioè di una sintetizzazione artificiale che si suona con la Bontempi. Sono campionamenti di un coro VERO, che pazientemente ha registrato tutte le possibilità canore: ogni dannata sillaba, su ogni intensità (pianissimo, piano, medio, forte, fortissimo eccetera) e su ogni variazione espressiva (legato, staccato ecc). E tu poi, col software puoi scrivere partitura e testo, e magicamente il tuo coro “portatile” canta. Sono prodotti che meritano rispetto, per la faticaccia che serve a realizzarli, e bisogna saperli usare, per rendere la musica credibile. Come accade in questo caso. Se poi mi sto sbagliando, e si tratta di un coro vero e inciso in studio (ma non lo vedo nei credits), allora tanto di cappello, perché ci sono passaggi davvero arditi da eseguire. Ma mai arditi da ascoltare, è sempre tutto estremamente piacevole.

Andiamo avanti con “Salce”, che tra archi e pianoforte ci dona una sensazione da cinema, di quello emozionale, con la piuma che scende sulla panchina, o il padre anziano che prende il treno e pensa a quanto saranno contenti di rivederlo i figli. Ma non c'è solo dolcezza e incanto. “OMO” ci lancia in un clima ostile. Il suono del pianoforte è sbriciolato in piccole schegge taglienti. E “Drift” ci catapulta in grandiosi quanto spaventosi campi spaziali, fluttuanti, in odore di Vangelis.

Il violino, effettato e suonato dallo stesso Bajardi, diventa il protagonista in “S.Rosalia (live feat. Miriam Palma)”, accanto alla voce, in un crescendo travolgente. L'energia prosegue in “S.Rosalia 2 (live)”, e nel cantato–recitato si sente la vocazione teatrale del lavoro, quando la cantante–attrice inizia a raccontare: “E allora lei si fece bella come quando di lui si innamorò, e tirò fuori dal cassetto quella camicetta che le regalò. E allora scesero sulla piazza come avevano fatto tempo fa e si misero a ballar”. Si trascende, non si sa dove finisca la musica e inizi il teatro.

I 51 secondi conclusivi parafrasano “Hiroshima mon amour”: “Gibellina (mon amour)”. Si tratta di un saluto, da parte dei suoni che abbiamo ascoltato, affiancato da una voce siciliana popolare che racconta la cruda situazione reale: “Ci vuole lavoro per i giovane, se non c'è lavoro per i giovane siamo caputt, questa è la realtà. I giovani scappano via, capisci qual è l'importante?”. Un brusco risveglio, dopo quasi 50 minuti da sogno. “Lux – Theater Works” è davvero un lavoro di qualità sopraffina, e al contempo estremamente accessibile. Profondo ma accattivante, intellettuale ma non intellettualoide. In una parola, bello, nel senso del “Bello musicale” che tutti gli esteti ricercano. (Gilberto Ongaro)