CYNIC "Ascension codes"
(2021 )
Premesso che non riuscirò ad essere oggettivo e compassato (ammesso che ciò sia possibile nel regno della soggettività per antonomasia come la musica e l’arte in genere), essendo ancora inebriato dal terzo ascolto consecutivo (!) del disco in questione, parto con una espressione lapidaria ma esaustiva: un capolavoro. Uscito a distanza di ben sette anni da Kindly bent to free us (2014) dopo la scomparsa di Sean Reinert e Sean Malone, avvenute nello stesso annus horribilis 2020 e quindi partorito dal genio del rimanente Paul Masvidal (con Matt Lynch – batteria, percussioni), Ascension code è sì una produzione in stile Cynic ma con elementi di discontinuità che la rendono impermeabile ai tentativi di inquadramento, se non nell’ambito di una generica elettronica ultra-moderna, illuminata e per fortuna ancora umana, “troppo umana”, per dirla con Nietzsche.
La complessità delle sue architetture decisamente prog-oriented evita la trappola dell’autocelebrazione mantenendone intatta l’efficacia comunicativa, grazie (anche) ad una ritmica potente ma non invasiva, perennemente irrequieta, oltremodo raffinata, tecnicamente (manco a dirlo) egregia, che riesce magica-mente a trasmettere la stessa verve di un quattro quarti. Sin dalle prime note si intravede una caleidoscopica stratificazione di livelli sonori: nessun timbro o passaggio è lasciato al caso, la cura dei particolari rasenta il perfezionismo, andando a formare seducenti atmosfere eteree che invitano a sondare i più impervi sentieri dell’anima.
Un’opera come questa, con i suoi rilevanti elementi innovativi, può far storcere la bocca a qualche zelante custode della sacra tradizione metallica, ma la pedissequa riproposizione di schemi consolidati non avrebbe portato da nessuna parte in quanto la band statunitense non si è mai seduta sugli allori. Il disco non può lasciare indifferenti: o ci si perde nel suo sofisticato fascino [è il mio caso, come premesso, visto che non riuscivo a toglierlo dal lettore dopo essere entrato in uno stato di flusso - variabile introdotta da uno psicologo ungherese dal nome impronunciabile per noi italiani, Csikszentmihaly, che definisce uno stato di piacevole assorbimento della coscienza nel corso di un’attività immersiva] o può stimolare un senso di distanziante estraneità: tertium non datur. Per fortuna la nostra divina Mus(ic)a non c’impone nulla, consentendoci di scegliere o scartare le sue creature: chi preferisce la sicurezza di percorsi già battuti è avvertito e può azionare il telecomando, mentre i cultori dell’esplorazione musicale hanno di fronte una inesauribile miniera di sensazioni da (ri)scoprire ogni volta.
Ascension code sa trarre i migliori spunti da un glorioso passato riecheggiante i fasti di pietre miliari come Focus (1993) e Traced in air (2008), volgendosi nel contempo al futuro con capacità visionarie, starei per dire profetiche, senza cadere nell’illusione transumanista, come l’opzione di un sound marcatamente elettronico potrebbe far pensare. Il coraggioso talento di Paul Masvidal ha così trovato la migliore alchimia per rendere omaggio alla memoria dei suoi compagni di viaggio Sean Reinert e Sean Malone, ora numi tutelari del trio pionieristico del technical death metal/fusion che ha saputo tracciare le coordinate di una inedita e nobile tradizione ai confini dell’inesauribile multiverso metallico. (MauroProg)