PORTER RICKS "Porter Ricks"
(2021 )
Siamo nel 1997. I Porter Ricks hanno appena fatto furore con “Biokinetics”, uscito l'anno precedente e che ha influenzato la direzione della dub techno. Ora che la strada è stata spianata, il duo, formato da Thomas Köner e Andy Mellwig, può agevolmente percorrerla, portando avanti la sua musica minimale. Dopo la ristampa del suddetto disco del '96, è stato dunque ristampato anche “Porter Ricks” (da Mille Plateaux Records), per proseguire con le celebrazioni del “decennio fighissimo”, come lo definisce Max Pezzali nel suo libro “Max90”.
Iniziamo con “Redundance 1”, dove si avvia la consueta ipnosi, fatta di beat regolare e bassi massaggianti – quante volte scriverò “bassi massaggianti”! L'arpeggio che ascoltiamo come protagonista è leggermente acido. Dopo 6 minuti, inizia “Redundance 3”, dove l'arpeggio si fa più acido. Dopo altri 6 minuti “Redundance (version)” ripropone l'arpeggio ancora più acido, con i battiti più distorti. Un crescendo!
Quindi, dopo circa un quarto d'ora con questo mood in testa, arriva “Redundance 5”, che effettua un cambio netto. Il ritmo si fa swingante, e i bassi cambiano giro. Tutti gli elementi sonori presenti sono costantemente cangianti nel timbro. “Redundance 6” riporta il ritmo sulla carreggiata dritta, e sopra sentiamo qualcosa di distortissimo, come un'introduzione a un brano rock. Da elemento di introduzione, qui è il loop fondante dei 4 minuti e mezzo. Niente bassi, solo questa strana presenza aliena.
Ma noi siamo qui per i bassi massaggianti! Che ci portano via il cervello! E allora eccoci accontentati, con i dieci minuti di “Scuba Lounge”, dove l'elettronica simula ciò che sentiamo ovattato in acqua, con delle costanti goccioline sintetiche. E gradualmente, veniamo raggiunti da un loop di basso semplice, ma dal sapore funky, mentre il palombaro continua a scendere di profondità, a giudicare dall'aumento di pressione del rumore circostante. Lo snare (rullante) che riverbera verso la parte finale, porta la mente a quel relax illegale di “Moments in love” degli Art of Noise; che sì, è un brano degli anni '80, ma a giudicare dai commenti su YouTube, in tanti ancora se ne sorprendono, per quanto fosse avanti il loro sound.
Ma torniamo ai Porter Ricks. Con l'apertura di “Spoiled”, ci spostiamo nel sound con cassa in battere e charlie in levare (tunz tunz), che strizza l'occhio all'ambito più commerciale di quegli anni. Ma c'è sempre una patina fumosa che avvolge il tutto. Un loop vocale si immette in maniera storta, rispetto alla sequenza ritmica, e dopo un po' perdi il riferimento, non sai più dov'è l'1, il 2, il 3 e il 4. Nel dubbio, balla! Il corpo troverà le risposte. Con la successiva “Spoil”, si leva la patina e si va nel commerciale sul serio, per entrare in diretta concorrenza col french touch dell'astro nascente dei Daft Punk, che in quell'anno pubblicherà “Homework”, e non ce ne sarà più per nessuno. Ma intanto, anche qui possiamo sentire la chitarrina funky, il basso sincopato, insomma quel noto recupero dalla disco anni '70 rivisitata. I padovani mi capiranno, se dico che in questa musica ci starebbe benissimo uno speaker che dice: “Bum Bum Energy!”.
Pausa. “Decay chart” sono 7 minuti di vento e lenti battiti, che ci ricordano che stiamo pur sempre avendo a che fare con Thomas Köner, quindi un momento ambient è d'obbligo. Con “Explore”, entriamo nella dub. C'è un basso super fighetto, che è identico a quello de “La moda nel respiro” di Lucio Battisti, del 1994. Era proprio un andazzo di quegli anni! Infine, con “Exposed”, i bpm si accelerano, per strizzare l'occhio alla drum and bass (ma ad un certo punto proprio al rock), per terminare con entusiasmo. Mamma mia che gioiello, questo disco! (Gilberto Ongaro)