recensioni dischi
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THOMAS KONER  "Nuuk"
   (2021 )

Continuiamo il nostro viaggio nel cuore degli anni Novanta, tornando da uno dei due fondatori dei Porter Ricks, che da poco abbiamo affrontato per la loro ristampa di “Biokinetics” del 1996. Ci spostiamo di un anno: 1997. Thomas Köner porta avanti il suo percorso solista ambient, sfornando – no, non è il termine adatto, meglio dire “scongelando” – un nuovo lavoro ispirato ai ghiacci del Polo Nord, che l'artista aveva già interpretato musicalmente, fin dal 1990: “Nuuk”.

Dei quattro dischi precedenti, almeno tre hanno la copertina con immagini artiche, con tonalità dal bianco al grigio, e dopo una parentesi “gialla” (“Aubrite”), che divaga su meteoriti e il deserto dell'Asia Centrale Takla Makan, con questo il nostro eroe torna a indossare il berretto col paraorecchie, per trovare nuova linfa.

Recentemente è uscita la ristampa (per Mille Plateaux Records), così siamo qui a raccontarla. Nuuk è la capitale della Groenlandia, e l'ambient di Köner ci trasporta attraverso un suono glaciale, che ad un ascolto superficiale appare statico, ma i cambiamenti minimali ci sono, e costanti. Si tratta di imparare a distinguerli, come le variazioni di bianco (che in eschimese hanno nomi differenti). E con le cuffie si nota tutto.

La prima traccia, “Nuuk (air)”, è un gelido soffio costante, mentre “Polynya I” parte con bassi massaggianti, che gradualmente tornano ad ospitare quel freddo di prima. Le variazioni sono impercettibili, come guardando i fiocchi di neve al microscopio si trovano geometrie sempre diverse. E così per “Nuuk (day)”, mentre in “Amras” iniziano a sentirsi delle perturbazioni, che col passare a “Nuuk (night)” proseguono più ovattate.

Con “Polynya II” ritornano a vibrare dei gravissimi suoni bassi, come raffiche di vento in lontananza, e la formula è la stessa: i bassi gradualmente scompaiono, e restiamo immersi nei medi impalpabili. Ogni tanto vengono a trovarci piccoli suoni compatti e cristallini, ma il ghiaccio non se ne va, è proprio permafrost (per citare un album precedente). La conclusione, “Nuuk (end)”, sembra nascondere, nell'apparente assenza di tonalità, delle armonie, seppur cangianti.

Se ancora non ci credete, che questa musica sia molto variegata, ecco la prova del nove. Mettete su una traccia qualsiasi, e col cursore andate avanti e indietro a caso, nel minutaggio: non troverete mai la stessa identica situazione sonora. Questa è la magia dell'ambient di Thomas Köner: infinite variazioni in un suono realistico, che riporta alle nostre orecchie un'esperienza verosimile dei ghiacciai. (Gilberto Ongaro)