KARKHANA "Al azraqayn"
(2021 )
Qualcuno ha definito la loro “musica libera del Medio Oriente”. Beh, vediamo se è vero, mettiamo su questo doppio disco del supergruppo Karkhana, intitolato “Al Azraqayn”, uscito per la Karl Records.
Le prime due tracce si chiamano “Nafas”, ma la prima è “Nafas (oud intro)”. Sì, ok, dicono “introduzione”, ma dura quasi 7 minuti, mentre il brano per così dire “ufficiale” ne dura 9. Si può dire che l'introduzione sia una parte a tutti gli effetti della costruzione, non un mero occhiello introduttivo! L'oud, questo antico cordofono persiano, improvvisa da solo, rapido e ipnotico, ma solo arrivando al secondo brano si capisce l'intenzione dei Karkhana. L'oud viene affiancato dai fiati, ma soprattutto da basso e batteria, che avviano un clima psichedelico, fatto di reiterazione della stessa nota e dello stesso ritmo ossessivo. Una psichedelia raggiunta con un sound folk mediorientale. E si riconosce la firma dei Konstrukt, infatti sono presenti alcuni membri di quel gruppo.
Segue la lunga “Sidi Mansour”, divisa in quattro parti. Dopo un lungo assolo di batteria, di stampo jazz, la musica si avvia verso un'improvvisazione assolutamente lisergica, con tanto di sintetizzatore acido, e il suono si fa occidentale, con la chitarra elettrica distorta e ronzante. Anche il bassista mette in campo il suo virtuosismo espressivo, e tutti collaborano a una travolgente esplosione free jazz. La seconda parte dà spazio a percussioni e a veri e propri oggetti, disturbati dal lamento sguaiato del fiato. Nella terza parte si riprende il lato rock elettrico dell'improvvisazione. L'approccio free li porta facilmente al noise: occidente od oriente, nord o sud, il casino è internazionale! E questo è il primo disco.
Il secondo si apre con “Huli”, il cui inizio è coperto di altri oggetti, diversi rispetto a prima, e ad un certo punto il brano sembra fare... le fusa. Prima di scatenarsi nel rock, tra i rumori iniziali viene elaborata una sorta di elica che fende l'aria, una cosa che ricorda quell'inquietante suono di “On the run” dei Pink Floyd. Eh sì, scomodo i fenicotteri rosa, perché questa è una sorta di “Ummagumma” in salsa araba. Salsa che si identifica in maniera inequivocabile in “Al Sal3awa”, con un suono di sintetizzatore serpeggiante, mentre le percussioni seguono in maniera espressiva anziché ritmica. L'aria qui è deforme e onirica nella prima parte, per poi spostare i serpeggiamenti sulla concretezza rocciosa dell'oud. Sarà la mia fantasia, ma tra gli strani rumori che accompagnano tutto questo, riconosco il trapano del dentista! Ci danno dentro di brutto con gli oscillatori (le manopoline delle tastiere).
“Containment” è aperta da due minuti di ronzio dello strumento a fiato, affine al “Volo del Calabrone” di Rimsky-Korsakov, per poi partire con un'improvvisazione che si impianta sul silenzio, nel senso che non c'è sequenza ritmica d'appoggio. Quindi siamo disorientati, nella sequenza febbrile di suoni e rumori (tra cui stritolii di pupazzi). Dopo 4 minuti, il basso avvia finalmente un ritmo preciso, seguito dalla batteria. La situazione diventa tribale, come in un prolungamento à la The Doors.
E per chiudere in bellezza, i Karkhana ci salutano con “Rock Farock”, che parte subito con un riff sporco e spedito senza fronzoli. Non mollano quel riff per quasi 8 minuti, durante i quali ritornano gli elementi caratterizzanti del supergruppo: note arabeggianti e caos elettronico. Ah, era tutto dal vivo, e infatti i due dischi si concludono entrambi con applausi entusiasti. Dunque sì, l'espressione “free Middle Eastern music” calza a pennello su di loro. Un folk jazz rock psichedelico, che tradotto in termini semplici è caos liberatorio. (Gilberto Ongaro)