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SORRY, HEELS  "She"
   (2021 )

Una stanza in penombra, solo fiocamente rischiarata da led intermittenti.

Figure nella semioscurità.

Di una donna si intravede appena il profilo e si ode la voce, profonda come un lago al crepuscolo nella sua monocorde intensità sepolcrale, ma pacata, misurata, vellutata.

Più di un sussurro, meno di una minaccia.

Intorno, disegnano i contorni della stanza le cupe note del basso, assecondate talvolta dalle aperture mortifere del synth, incasellate negli angusti pattern della drum-machine.

Ombre lunghe proiettate sulle pareti tratteggiano sagome di Whispering Sons, Dan Sartain, Interpol e XX, numi tutelari, presenze, entità che spettrali abitano i trentotto minuti densi e soffocanti di “She”, nuovo album del duo Sorry, Heels. Originari di Frosinone, esistono dal 2010: all’attivo due ep autoprodotti ed un album di debutto (“The accuracy of silence”, anno 2015) per la finlandese Gothic Music Records.

A sei anni di distanza dall’esordio lungo, Simona Pietrucci (voce) e Davide Messina (tutti gli altri strumenti) si ripresentano su label Shades of Sound Records/Wave Records con nove tracce intrise di un post-punk tanto antico quanto paradigmatico nel suo incedere catacombale e sottilmente psicotico, ingigantito da sonorità che un’attenta e sagace produzione (opera dell’ottimo Filippo Strang, presente anche alla chitarra) cesella ad arte.

Costruito attorno al canovaccio di una love-story infelice vista e vissuta al femminile, “She” pennella trame ossessive splendidamente asservite alla suadente vocalità noir di Simona, capace di destreggiarsi sinuosa tra ondate sintetiche, disturbi elettronici e spigolosa nevrosi (“The spell’s ballad”, con inatteso singalong melodioso).

L’incedere devastante del basso marchia a fuoco l’intero lavoro, puntellandone le fondamenta dall’incombente opener “Through the end” fino al desolato commiato di “The end of desire”, in piena tempesta Joy Division. Passando per gli echi wave di “My dolls house” (a braccetto con reminiscenze velvetiane), per il martellamento incalzante di “Something real”, per la più buia declinazione dei Depeche Mode (“The void”), per gli incubi maniacali dei Numb.er (“She burns”), “She” è un prodigio di introversione quasi sempre implosiva, un compendio di algida contrizione e frustrazione afflitta, sentimenti che vagano irrequieti tra il pulsare liquido e plumbeo delle quattro corde ed un crooning adatto a scavare nei più nascosti anfratti dell’anima. (Manuel Maverna)