KABIRYA "In chiaroscuro"
(2021 )
Non so se abbiate ben presente quel bell’indie anni Novanta fatto di chitarre tese, ritmi sostenuti e testi multiuso, ma a rinfrescarvi la memoria provvedono egregiamente i Kabirya, trio piacentino all’esordio lungo con le dieci tracce de “In Chiaroscuro”, vivido compendio di ragionata aggressività declinata secondo i crismi del tempo che fu.
Tra bordate elettriche (“La voce”), oasi di quiete instabile (“Von Dutch”) e non poche suggestioni letterarie e cinematografiche sparse un po’ ovunque a mo’ di indizi, Francesco Tosi, Gabriele Gnecchi e Riccardo Silva imbastiscono un lavoro diretto, efficace, accattivante.
Prodotto dagli stessi Kabirya e da Orzorock Music, l’album oscilla con palese spigliatezza tra chitarre nervose, drumming incalzante e bassi profondi, sopra i quali veleggia un crooning cangiante plasmato ad arte (pregevole l’insistito intreccio à la Soundgarden di “Forse è migliore”): pur senza aspirare ad un trionfo di strabiliante varietà o ad una cervellotica originalità, i tre fanno bene ciò che si propongono, con fedeltà alla linea ed una gran sincerità.
Dalle tentazioni emo tra Cosmetics e Latente dell’opener “Il silenzio è solo un gioco” alla frenesia cattivella à la Sick Tamburo di “Visage Gendarme (la pazzia giustifica i mezzi)”, dalla deliziosa lovesong sui generis di una “Stanza” – prossima ai Verdena più accessibili – giù fino alla chiusura della title-track su un’aria che richiama certe malinconiche divagazioni degli esterina, i Kabirya caracollano in bilico su fili scoperti verso una pacificazione agognata.
Interessante la cover della oramai classica “Siberia” dei Diaframma, affidata ad un registro tra Bluvertigo e Subsonica e capace a tratti di esaltare un brano già perfetto di per sé. (Manuel Maverna)