recensioni dischi
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VEXILLUM  "When good man go to war"
   (2021 )

L’erba del vicino è sempre più verde? Dopo aver assaggiato When good man go to war, quinto disco di questa giovane band toscana con un curriculum di tutto rispetto approdata ad una prestigiosa etichetta discografica (Scarlet Records), sembrerebbe proprio di no. Stavolta i palati più fini del folk-power metal possono ignorare i canti delle sirene esterofile così diffuse nei mari del nostro Bel Paese, senza bisogno, come Ulisse, di farsi legare all’albero maestro della nave con le orecchie turate, trovando tutti gli ingredienti per soddisfare i loro più esigenti appetiti musicali.

Nel disco si ritrovano gli stilemi più classici del genere ispirati a capofila quali Blind Guardian, Freedom Call e Rhapsody of Fire (mi fermo qua) rielaborati con un’impronta personale che, conoscendo la qualità dei componenti e la loro dedizione alla causa metallica (Dario Vallesi, voce solista; Michele Gasparri, chitarre, cornamusa, voce; Francesco Caprina, chitarre, voce; Francesco Saverio Ferrario, basso; Efisio Pregio, batteria), non potrà che perfezionare il marchio di fabbrica Vexillum. Proseguendo con la metafora culinaria (si veda: Zoppo D., Bernardi M., Cotto e suonato. La musica immaginifica in cucina, Milano, Aereostella, 2011), abbiamo un menù fantasy composto da maestosi cori epici uniti ad una guida vocale perfettamente all’altezza della situazione, orchestrazioni ben dosate, riff di chitarre con tradizionali galoppate ritmiche gestite con padronanza tecnica e farcite con deliziose melodie di cornamusa: un sontuoso banchetto di corte con tutti i crismi. Non so se When good man go to war può definirsi l’opera della maturità, ma di certo segna una tappa importante nel percorso artistico dei Vexillum.

Godiamoci questa sana incursione nell’immaginifico medievale made in Italy, (anche) come rigenerante pausa dai malsani diktat di una contemporaneità iperconnessa, nevrotica, gravata da un crescente imbarbarimento dei costumi e dei valori, che mira a trasformarci in schiavi digitali. Siamo proprio sicuri che i cosiddetti “secoli bui” (uno stereotipo, fra l’altro, del tutto privo di fondamento storico e culturale) riguardino quei mille anni di storia definiti convenzionalmente (e riduttivamente) Medioevo? (MauroProg)