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SALVATORE MARIA RUISI  "Niente non rimane niente"
   (2021 )

La bella canzone di un volta faceva sorridere la gente/che la trovava divertente e la cantava a voce alta/la bella canzone di una volta faceva commuovere la gente/che la ascoltava attentamente e la imparava in una volta: concordo con Elio, mentre scorrono come vivide immagini le dieci tracce di “Niente non rimane niente”, album di debutto in digitale del cantautore siciliano Salvatore Maria Ruisi (classe 1988, mezza vita spesa in giro a cantare), con la produzione di Fabio Rizzo e Donato Di Trapani.

Encomiabile per profondità e schiettezza, è un disco capace di impastare idee, testi arguti e chorus centrati in un prodigio di equilibrio che fa della semplicità il suo principale atout. E’ misurato, ma non rassegnato; fiero e diretto, condivide punti di vista, opinioni, riflessioni personali e universali. Racconta storie con naturalezza, senza mai forzare la mano, scegliendo con sapienza temi e parole – tante, ben incastrate come tessere in un puzzle da mille – che dispensa in composizioni accattivanti, ricche di ritornelli, accelerazioni, contrappunti vivaci ed altri preziosismi assortiti.

Scevro di ridondante cerebralità come di orpelli cervellotici, lontanissimo dalla trappola del cuore/amore/cielo/mare, predilige melodie lineari ed una costruzione dei brani magari figlia di suggestioni d’antan (“Ogni giorno”, “Senza colore”), eppure intelligente, allettante ed imprevedibile in ogni gradita divagazione.

Introdotto dall’up-tempo catchy di “Gocce”, profluvio di versi spinosi portati a spasso da un ritmo incalzante e da ganci sparsi ad arte in tre minuti e mezzo impeccabili, l’album procede in scioltezza alternando episodi più intimi (“Ninna Anna”) a briose impennate (l’armonica dylaniana che sospinge il passo spedito à la Josh Ritter di “E no”), talvolta nel solco di riconoscibili numi tutelari, altrove concedendosi spunti che delineano un più accentuato stile personale, come nell’irresistibile singalong di “Suicidio Sociale” o nel piglio confessionale di “Distratto”. Fra echi di De Gregori (“Niente non rimane niente”) e Battisti (“Un urlo sulla strada”) Ruisi tratteggia un microcosmo intriso di amarezza, ma non privo di speranza o redenzione, un piccolo mondo brulicante di vita descritto con eleganza e disincanto, una poetica intensa e viscerale sublimata nella chiusura di strabordante intensità di “Arrivederci”, pathos in crescendo a breve distanza da Rino Gaetano.

E’ la bella canzone di una volta, quella che magari oggigiorno si è un po’ persa per strada, ma che in fondo piace sempre, a patto di saperla fare. (Manuel Maverna)