THE AMORPHOUS ANDROGYNOUS & PETER HAMMILL "We persuade ourselves we are immortal"
(2021 )
Attivo dal 1991, il duo Brian Dougans e Garry Cobain è composto da due pionieri della musica elettronica inglese, proprietari dei due marchi che hanno fatto la storia di quella scena e non solo: The Future Sound of London e The Amorphous Androgynous.
Ora, dopo trent’anni di carriera, si cimentano nella loro opera più ambiziosa, ‘We Persuade Ourselves We Are Immortal’, inventandosi un super gruppo composto da grandi collaborazioni tra cui spicca già nell’intestazione del disco il leader dei Van Der Graaf Generator Peter Hammill, ma comprende anche the Modfather Paul Weller, la chitarra di Ray Fenwick (Spencer Davis Group / Ian Gillan Band), il sax di Brian Hopper (Caravan / Soft Machine), le cinquanta voci del Chesterfield Philharmonic Choir e a una sezione di archi di 25 elementi.
Un arsenale di strumenti e un esercito di musicisti che fanno la gioia dei due produttori, pronti a sfogare tutto il loro entusiasmo in queste sei tracce, partorendo così il loro disco più sinfonico, abbastanza lontano degli esordi di “Papua New Guinea” dei Future Sound of London o da “Tales Of Ephidrina” degli Amorphous Androgynous, ma che mantiene tratti comuni con la discografia precedente e forse ne è una motivata prosecuzione.
Per cui, nonostante il suono delle chitarre pinkfloydiane dal gusto un po’ retro, “We Persuade Ourselves We Are Immortal” è un’opera che ha una sua contemporaneità anche se scritta e pensata da musicisti non proprio di primo pelo, a partire dal tema dell’immortalità/mortalità che ispira il concept album fino alle intuizioni compositive sparse per tutto il disco.
La scelta della copertina e del comprimario lascia pensare che le chiavi musicali degli Amorphous Androgynous virino verso il prog, quello più dark, come nella title track, ma invece, una volta preso il vento in poppa, spaziano verso i territori più krauto/space della suite di 12 minuti “Synthony On A Theme Of Mortality”, oppure si rifugiano nel porto sicuro del riffone blues/hard rock speziato di psichedelia solfurea alla Spiritualized di “The Immortality Break”.
Ma il metodo compositivo del duo rifugge le gabbie dei generi e ciò permette di avere più momenti all’interno dello stesso brano, tra dilatazione con gorgheggi femminili alla “The Great Gig in the Sky”, robusti crescendo di archi, sax e cori a rubarsi il ruolo di protagonista, arpe liquide e minimoog spaziali a guidarci dentro allucinazioni cosmiche.
Le melodie si scompongono inafferrabili per riapparire in altre forme in altri brani, alcuni versi di canzone riemergono in più parti dell’opera come brandelli del relitto del veliero della copertina, sparsi nel mare calmo dopo la tempesta, tra gabbiani e canti ammalianti di sirene tentatrici.
Forse il disco pecca di qualche barocchismo di troppo e di strumenti che si fanno spalla l’uno con l’altro, ma è difficile rimanere indifferenti alla voce celeste di Peter Hammill che, con la saggezza del vecchio guardiano del faro, declama versi sulla fatica di fuggire dalla nostra condizione mortale:
'We persuade ourselves, cajole ourselves, reassure ourselves we are immortal”.
E poi si volge verso la parte di oceano non illuminata dal faro. (Lorenzo Montefreddo)