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RIEN FAIRE  "Rien Faire"
   (2021 )

L’intrigante album di debutto del trio francese Rien Faire è un’ottima prova di rock europeo continentale che accarezza diversi aspetti del pop e del rock e li declina in versi particolarmente pregnanti e poetici, che diventano talvolta filastrocche e talvolta aforismi. I tre sanno astutamente giocare col linguaggio e con i loro strumenti.

Ipnotici e avvolgenti, i Rien Faire pubblicano un album di debutto che si inserisce all’interno di un filone alternative pop francese che non solo in Francia ha appassionato molti critici e fan. Piuttosto lontani dal synth-pop dei loro conterranei Phoenix, i Rien Faire sono pienamente contestualizzabili in quel movimento indie pop raffinato e ambizioso che anima da non pochi anni la Francia. È un pop contaminato da art rock, psichedelia e avanguardia e sa essere attuale mentre strizza di continuo l’occhio a mostri sacri come Beach Boys e Arcade Fire. È un pop moderno e attuale.

L’ottimo Rien Faire, che si apre con due pezzi particolarmente appassionanti e convincenti, lo psych pop di “Le ciel est mou” e la sbilenca “Festivillage”, è un disco che mostra una coerenza sorprendente per essere un debutto. Certo, sotto molti aspetti è ancora grezzo e un po’ acerbo, in particolare nella produzione, che è buona ma un filo naïf, forse anche volontariamente; tuttavia questi ragazzi sanno cosa devono fare. La voce femminile, quella di Marie Daviet, e quelle dei suoi colleghi, Lucas Hercberg e Corentin Quemener, spesso dialogano tra loro con eleganza e mestiere, come avviene, ad esempio, nella divertente “Etre vieux”. L’intesa tra i tre sembra molto efficace.

Le varietà di pop e rock che l’album tocca sono numerose. Non si sottrae da un alternative rock cupo e un po’ industriale à la Throbbing Gristle, particolarmente evidente in “La viande de ta famille”, e non rinuncia a un minimalismo esasperato e claustrofobico, come nella intricata “La flare”, che poi diventa un’esplosione di noise avanguardistico. Lo spoken word ironico di “Sombre jambe et jambre gilles”, a tratti dissacrante, che quasi guarda alla performance culturale e sociale del grande Gil Scott-Heron, sincera e ben costruita, dimostra quanto attenti e profondi i Rien Faire sappiano essere. La marcia carnevalesca e alienante che conclude l’album, “Tous les jours depuis hier”, un trip à la Through the Looking Glass in versione psych-pop contemporaneo, è un viaggio agli inferi che più che dantesco pare donchisciottesco, coi diavoli ormai tramutatisi in mulini a vento, un vero romanzo on the road che non sembra finire mai. Più che conclusione, infatti, questo sembra un inizio. E infatti i Rien Faire hanno appena iniziato. (Samuele Conficoni)