recensioni dischi
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IQONDE  "Kibeho"
   (2021 )

Per battezzarsi, il trio bolognese degli Iqonde ha preso in prestito dall’idioma Zulu l’omonimo termine (che significa: dritto) per affacciarsi sulla scena con l’e.p. “Kibeho”. Attivi dal 2019, Marco Priori, Francesco Finelli e Diego Castioni si propongono con un forte impatto tribalcore, in scia di band come Zu, Zeus! e Mombu. In verità, però, il loro sound non è che sia così “dritto” come proposto dal nome, bensì si alimenta di efferate distorsioni e devianze dettate dalla sezione ritmica che è assoluta protagonista dell' intera impalcatura dell' opera, nella quale alle chitarre è demandato il ruolo di rifinitore corporativo, comunque pregiato ed integrativo.

Va sottolineato, da subito, che il progetto Iqonde abbraccia l’insolita scelta espressiva rinunciando alle parole, per lasciare fluire un magma strumentale abrasivo ed infuocato, nel quale divampano 6 colate di pura energia che guardano ai primordiali ritmi africani e ai richiami alla magia nera, dei quali i Nostri non fanno mistero. Un tragitto selvaggio, ruvido, urticante, arroventato, che sputa ora noise ora hardcore pur mantenendo (sostanzialmente) l’immaginario tribale, imprescindibile totem ispirativo. Tra la sestina, un maggior egocentrismo se lo ritagliano la triade ''Edith Piaf'', ''22.22'' e ''Marabù'', comprovando così che gli Iqonde han poco di derivativo, con molte idee chiare e ben messe a... fuoco! Conosco band che, dopo lustri, ancora non sanno che pesci prendere nel mare stilistico. Loro,invece, in un solo biennio han già definito intenti e direzioni che, forse, non basteranno per catturare grandi platee ma quantomeno denotano un’identità vistosa e incrollabile: tanto basta per ottenere da parte nostra la promozione immediata di “Kibeho”. (Max Casali)