recensioni dischi
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MAJA S.K. RATKJE  "Vannstand"
   (2021 )

In Vannstand, Maja S.K. Ratkje sembra delineare le coste frastagliate e gelide della sua Norvegia, in una composizione sperimentale ardua e intrigante che si inserisce perfettamente all’interno del percorso ambizioso e rivoluzionario della giovane artista avanguardistica.

Maja S.K. Ratkje è da molti anni una delle voci di spicco all’interno dell’attivismo ambientale e da molti anni si occupa di progetti che uniscono musica originale a suoni prodotti dagli eredi del nostro pianeta: i bambini. Qui ha utilizzato, per esempio, misurazioni dei livelli del mare per creare poi uno score eseguito musicalmente dai ragazzi. Sotto questo punto di vista, Vannstand è un’opera di portata e dimensioni straordinarie, che è insieme epica e tenera, tragica e confortante.

L’enormità e il titanismo che emanano concetti eterni come le onde del mare e i cambiamenti del suo livello sono addolciti da splendide melodie spesso ariose e carezzevoli, che si muovono in un clima di accorata melanconia e di sincera fragilità alternata a frammenti di grandiosità e di speranza. Questi due aspetti non possono essere distinti: spesso, anzi, convivono, si cullano vicendevolmente, danzano insieme nel costruire ognuno dei pezzi del disco.

Tutto in Vannstand dialoga con lo sperimentalismo ambientale e ambientalista che Ratkje porta avanti sin dall’inizio della sua carriera. I singoli pezzi, parti di un’unica pièce carica di intertestualità e intratestualità, portano i nomi delle città in cui si sono tenute le field recordings, le registrazioni della parte enviromental della composizione. Pianti di violino, onde del mare, dialoghi e parole che sembrano ricostruirsi da frammenti e iscrizioni ritrovate di colpo in uno scavo archeologico sono i protagonisti di capolavori come “Stavanger B”, grondante di aperture melodiche celestiali. Sperimentazioni ancora più cupe e sinistre pervadono gli angoli di “Bergen B”, dall’andamento sghembo e incerto, diapositive perfette dell’aspetto più spiazzante dell’opera.

La varietà di Vannstand non concede episodi minori. Accesa e scoppiettante è “Harstad C”, dalle piroette imprevedibili e folli. L’avanguardia estrema di “Oslo”, che chiude la pièce, avvicina in maniera particolarmente convincente la musica antropica a quella naturale: le onde del mare come battiti del cuore fanno da sfondo a fischi spesso assordanti e a un dialogo che sembra rappresentare il proseguire dell’esistenza di ognuno nonostante tutto. Qui sta la grandezza di Ratkje: saper rendere viva l’incessante e sublime interazione che avviene tra uomo e natura nel sacro rispetto di essa e nella sua tutela. (Samuele Conficoni)