MEROPE "Salos"
(2021 )
Con Salos, appena uscito per Granvat/Stroom Records, conosciamo i Merope, che prendono il nome da una stella che a sua volta prende il nome da una delle Pleiadi, l’unica delle sette sorelle che, secondo la mitologia greca, sposò un mortale, e che per questo – scelta ritenuta motivo di vergogna – è la più lontana dalle altre e la meno luminosa. Il complesso di classica contemporanea sperimentale che prende questo nome, invece, è vicino a noi ed è formato da musicisti belgi e lituani coraggiosi e ambiziosi, la cui audacia brilla con raffinatezza in questo quarto album, elegante e complesso.
Salos in lituano significa “isole”, e nella sua forma di album sembra un arcipelago in mezzo all’oceano le cui isole sono sette canzoni. Salos è un viaggio nella solitudine che rafforza e protegge. È caratterizzato da cambiamenti, rivoluzioni interiori ed espressioni soniche variegate e seducenti. Riesce a intrecciare le tradizioni musicali belghe e lituane a un andamento rapsodico nel suo senso etimologico (da ῥάπτω, cucire, e ᾠδή, canto) dove la narrazione sembra proprio essere caratterizzata da tessuti sonori accuratamente saldati tra loro e dove l’eterea voce di Indrè Jurgelevièiutè si fonde al suo kankles, ai synth e alle chitarre di Bert Cools, al bansuri di Jean-Christophe Bonnafous e al celestiale coro Vilnius Chamber Choir Jazuna Muzika condotto da Vaclovas Augustinas. È un νόστος, un ritorno a casa, odisseico, che però non sembra essere arrivato al termine. Il gruppo sta ancora navigando, curioso e compatto.
Anche per questo motivo, Salos è una cosmogonia e una metamorfosi insieme. Alla maniera dei filosofi greci presocratici, sulle orme di Eraclito e di Empedocle, sembra raccontare la nascita dell’universo, ma in questo caso non dell’universo in sé quanto di quello creato dal gruppo. Alla maniera del poeta latino Ovidio, inoltre, sembra raccontare di metamorfosi di figlie di divinità in pioppi o di sculture che prendono vita. L’elemento folk lituano si dipana nel corso della narrazione. Già presente nel brano che apre il disco, “Ei Dvipa”, percorre silenziosamente tutti i brani dell’album come un fil rouge allusivo e si fonde all’elemento onirico che pervade la tiepida “Alma” e la dolcissima “Sakale”. Sonorità elusive, che sembrano scappare di fronte ai tuoi occhi non appena sei riuscito a comprenderle, si rincorrono limpidamente e sembrano evitare l’incontro con chi ascolta, come un’Atalanta che scappa dai suoi corteggiatori. Rese magistralmente vive da un ensemble di musicisti grandioso, le atmosfere create sembrano essere simbiotiche ai musicisti stessi. A volte compenetrano i loro movimenti nella misteriosa “Bitniélis”. Altre volte, invece, si servono degli strumenti per creare un bosco magico di rimandi e presagi, come in “Vilnia”.
Sotto questo aspetto, Salos semplicemente certifica il talento e l’ispirazione che caratterizza i Merope, per natura portati a sperimentare e a innovare. Non parliamo di rivoluzioni ma di continue innovazioni all’interno di impianti precisi e di una tradizione solida. In “Oi Tolì” l’elemento folklorico lituano si unisce alla musica liturgica che connette epoche tra loro lontanissime. ''Leliumoj'', che chiude l’album, sorretta da una serie di arpeggi, di elettronica e di cori eterei, è un’archeologia di generi e immagini che ricerca le origini di qualcosa che sembra intangibile. Pur nella sua ampiezza di citazioni e di storie, Salos colpisce per la sua coesione interna, per il filo sottile che traccia e che non calpesta mai.
(Samuele Conficoni)