recensioni dischi
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GABRIO BALDACCI  "Nina"
   (2021 )

Auand Records raccoglie in 3 CD, perché uno non sarebbe bastato, le identità musicali della produzione variegata e solida di Gabrio Baldacci. Il triplo raccoglie quasi un decennio di musica, dal 2014 al 2019, con la partecipazione di alcuni ospiti eccezionali che erano comparsi sui relativi dischi. Oltre all’ottimo Solo (2017), in Nina compaiono infatti anche Tambrio (2019), inciso in duo con Stefano Tamborrino, e Rencore (2014), in trio con Beppe Scardino e Daniele Paoletti. Le sperimentazioni e i riferimenti colti di Baldacci risplendono dall’inizio alla fine, in un lungo percorso affascinante e complesso.

Il viaggio si dipana di fronte ai nostri occhi in una direzione che privilegia il contenuto rispetto alla cronologia. L’avventura di Solo, risalente al 2017, mostra un Baldacci estremamente libero e volitivo, pronto ad assecondare qualsiasi suo capriccio, qualsiasi divagazione, per inseguire ogni singola epifania momentanea. Compaiono passaggi decisivi e romantici scanditi dalla loop station, dalla chitarra baritono e da quella acustica, dal basso e dalla drum machine, che si compenetrano in esperimenti spesso sinistri e metropolitani, claustrofobici e freddi, come accade nell’industrial “Tambofon” o nella malinconica “Zouj 4”. “Nina”, composizione che alla raccolta dà il titolo, è un grido postmoderno di paura e speranza, un esperimento che sembra creare un continuum con l’acida e ruvida “Dark Was the Night, Cold Was the Ground”.

È nei dettagli che si nasconde l’autore, e il dettaglio è ciò che rende la musica di Baldacci così versatile e tattile. L’esperimento in duo con Stefano Tamborrino nel graffiante Tambrio, nove pezzi come schegge affilate che colpiscono e segnano, è fatto di deliri contemporanei e robotici che rigurgitano fuori dai leggiadri dialoghi dei due, tra feedback prorompenti e una batteria demoniaca, tra una Casio SA1 e una loop station in fiamme, che sembrano tutti dipingere il giorno del giudizio. Così in “Nacoro” pare di assistere all’incendio di Sodoma e Gomorra e poi, nella fuga, ci pare di vedere il mondo affogare nel dolore e nel buio, rappresentati dal pianto sonoro che è “Tra Blinio” e la pioggia di detriti che è “Potamba”.

L’esperimento in trio, che è la musica cronologicamente (2014) più antica su Nina, rappresenta l’ennesima faccia della musica di Gabrio Baldacci. Con la collaborazione di Beppe Scardino ai sassofoni e Daniele Paoletti alle batterie, è un disegno avant-garde quasi vicino a John Zorn, infuocato come sarebbe stata la successiva esperienza in duo con Tamborrino, ma più identificabile all’interno di un impianto avant-jazz scarnificato fino ai suoi elementi basici e ricostruito come un dipinto cubista. “Ricorso 737” insegue la quiete e appena l’ha trovata rincorre il disordine, “Gnu Gun” prende caratteristiche del jazz per rivisitarle in uno sfrenato sperimentalismo contemporaneo e la inquietante “Kudra” è un susseguirsi di tramonti e di albe, una sorta di diabolica mano che sembra portare verso un deserto di ghiaccio. Soltanto così, soltanto attraverso tre dischi turgidi di idee e d’invenzioni, Nina poteva rendere giustizia al talento di Bardacci. Ci riesce. (Samuele Conficoni)