NEUMANN, GUTVIK, HAKER FLATEN, NILSSEN-LOVE "New dance"
(2021 )
Abbiamo incontrato più volte il batterista e compositore Paal Nilssen-Love, sempre affiancato da nomi diversi della scena jazz norvegese. Questa volta si è unito a musicisti più anziani, che egli aveva già incontrato da giovincello a fine anni ‘90, in una performance uscita nel 2019 come testimonianza. A luglio del 2020 dunque, al Victoria Jazz Club di Oslo, Paal incontra il sassofonista Carl Magnus Neumann, il chitarrista Ketil Gutvik e il contrabbassista Ingebrigt Håker Flaten. Il quartetto realizza una performance che prende il nome di “New Dance”, uscita per la PNL Records. Nelle intenzioni, da quanto ci raccontano, l’esibizione sarebbe servita come preliminare a realizzare un album in studio. Conoscendo le inclinazioni di Paal e complici, è difficile credere che sarebbero riusciti ad arrivare allo studio con delle sole “bozze” registrate. Infatti, l’intero concerto di quel giorno è diventato il materiale stesso del disco, senza modifiche. La composizione estemporanea è pane quotidiano di Nilssen-Love, e di chi suona con lui. Fortunati i presenti, che assistono alla musica prendere forma nell’istante in cui viene concepita!
Questa “New Dance” è costituita da quattro tracce. La prima, “A sa et fre”, è un pigro e lento risveglio degli strumenti. Tutti i suonatori si prendono il loro tempo per trovarsi; all’inizio vanno in maniera volutamente scoordinata, per poi pigliarsi, senza fretta. Eppure, nel caos si nasconde un canovaccio formale: si identificano due fasi soliste, e il pubblico presente le riconosce, e applaude. Aspetta un attimo… c’è il pubblico? Ah sì, siamo in Norvegia. Eh-ehm. La seconda traccia è la titletrack “New Dance”, che dura quasi 31 minuti. Qui, tra i momenti di agitazione collettiva tipici del free jazz, possiamo gustarci un raro contrabbasso solista, che trova soluzioni originali per il suo strumento, spesso vituperato. Gutvik poi lo raggiunge fingendosi percussionista, percuotendo le corde della chitarra in maniera imprevista.
Una cosa da apprezzare è il considerare ampie zone di ppp (pianissimo -issimo), rispettate dal silenzio del pubblico. Poi dal ppp si arriva ovviamente al fff, anzi allo sfz (sforzando). Al 17esimo minuto la band si lancia in un quasi rock’n’roll folle. Paal tra i piatti dispone anche di un gong, col quale placa la furia. Nel silenzio, arriva uno strumento misterioso a fare le fusa. Forse è il sassofono di Neumann, ma non sono sicuro. Le sorprese non finiscono qui. Se verso i 25 minuti sembra che parta un applauso, ben presto ci accorgiamo che sono i musicisti che battono le mani a tempo, e per giunta in poliritmie, e la ripartenza strumentale è tribale. Il contrabbasso avvia da solo “Det er Kjaerlighet”, e qui si sentono sotto sotto dei rumori di bicchieri (sigh…), nonostante il silenzio religioso dei presenti. L’avvio del sax mette davvero a disagio, è un dolore espressivo e dissonante, Neumann è ispiratissimo, e gli altri tre lo supportano caoticamente. Quando si calmano, la chitarra indugia sul tritono, detto anche intervallo del diavolo. E infine con “Dett var Dett” si chiude l’esibizione, con gli ultimi roventi 9 minuti. Speriamo di poter tornare gradualmente a vedere queste esibizioni anche in Italia, perché la vita è grigia da troppo tempo, e questa non può restare la ripetitiva conclusione di ogni recensione! Nel frattempo, questo è un ottimo esempio di cosa si può ascoltare in estate a Oslo. (Gilberto Ongaro)