EXTRALISCIO "È bello perdersi"
(2021 )
Quand’ero quindicenne, ballavo ai concerti ska. E nelle sagre paesane, schifavo la musica dei vecchi, che disturbava la “zona giovani”, relegata spesso al palchetto autogestito senza fonico. Ci chiedevamo: ma quando saremo vecchi noi, che musica ascolteremo? Beh, forse gli Extraliscio faranno compiere il giro di boa alla musica popolare, e il liscio ce lo cuccheremo di nuovo! Sembra dunque un percorso naturale, quello che ha portato Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti a unirsi a loro per Sanremo 2021. Dopo il rock alternativo, ora che i suoni distorti non fanno più paura a nessuno, rivitalizzare la musica della riviera romagnola può essere la cosa più punk in questo momento.
Gli Extraliscio sono il polistrumentista Mirco Mariani, Moreno Il Biondo e Mauro Ferrari. Dopo la kermesse ligure, sono usciti con un doppio disco, e mai titolo fu più azzeccato: “È bello perdersi” (uscito per Betty Wrong Edizioni Musicali). Queste venti canzoni sono un vorticoso circo itinerante, dagli arrangiamenti ricchissimi, e per tentare di riportare qui nel dettaglio ogni cosa, ci vorrebbe un intero libro, ci si perderebbe davvero. La straniante introduzione elettronica de “La nave sul monte” porta ad un ritmo allegro, condito dal coro bulgaro (probabilmente le stesse coriste del “Pipppero” di Elio e le Storie Tese, lo stile è quello). Le parole si fanno surreali: “Cade anche la luna, sul piede del capitano, si frantuma tutta, crea un lago”. Aprire con quest’immagine, una nave che sale sul monte, comunica la volontà di mischiare cose fra loro distanti. Infatti, dagli strumenti acustici de “La ballerina sinuosa” che cozzano con colpi sintetici, “Capelli blu” ci porta in un levare che non si capisce se è proprio polka. Ovunque ci sono armonizzazioni di clarinetto, che ricordano sempre la casa-base di partenza di tutti questi viaggi: la Romagna.
“Marisa e temporale” entra nella morna, ritmo di Capo Verde che per qualche motivo ricorda la bachata. L’assolo di tromba è dolce e sembra messicano. Come vedete, la geografia è complicata, ma si viaggia leggeri, divertiti dalle parole nonsense della titletrack: “Metto le scarpe di cemento, le guardo e poi penso a te. Cerco una zebra profumata, la compro e la verso nel caffè”. Qui si incontrano vocoder, chitarra elettrica, clarinetti e un ritmo dritto pop. Apro una parentesi per i quattro valzer disseminati nei due dischi (il secondo cd si intitola “Si ballerà finché entra la luce dell’alba”). Stesso ritmo di 3/4 ma quattro sapori diversi. In “Valzer d’Africa”, il vibrafono dialoga col silenzio, e la melodia ricorda il folk inglese. “Il giocoliere” è per chitarra classica, che ricorda i fasti di Tàrrega. “Dolore” alterna, come nella migliore tradizione liscio, una parte in tonalità minore e una in maggiore; ma è tutto al pianoforte, e la parte in minore è chiaramente chopiniana, mentre quella in maggiore ti riporta a Riccione. “Primavera notturna” infine è lasciata a una fisarmonica in odor di Francia.
Tornando ai ritmi pari, “Odiarsi” è un beguine abbastanza nei ranghi, mentre “Amarsi come una regina” unisce orchestra liscio e synth e percussioni chiaramente anni ’80: l’effetto è come quella volta che Taco rifece “Puttin’ on the ritz”. Se siete di lacrima facile (come me) saltate “Ninna nonna nanna”. Il coro bulgaro viaggia su un treno di melodie tirolesi, dove “corre la nonna stanca e non si può fermare”. Il pezzo portato a Sanremo, “Bianca luce nera”, entra pertinente in questo felice caleidoscopio. “Il ballo della rosa” è strumentale che lascia spazio al clarinetto solista in prima voce. Lo shake di Secondo Casadei “Mia cara gioventù” viene spogliato dei suoni beat anni ’60 e modernizzato, ma resta invariato il mood. La base dance di “Milanesiana di Riviera” viene colorata dall’orchestra. Le fisarmoniche sono nuovamente protagoniste ne “Il ballo e la lucciola nel giardino”, un brano tripartito: prima un lieve valzer fischiato, poi una festosa polka, che infine riparte lenta e accelera.
La danza prosegue forsennata con “Maggio mese gentile”, mentre la chitarra stoppata caratterizza “Non partir”, ballata vintage presente nella colonna sonora di “Lei mi parla ancora” di Pupi Avati. E il secondo disco termina col “Medley Rosamunda” presentato al Festival, come lo ricordate: la melodia di “Romagna Mia”, col theremin, la tappa in Russia battendo il tacco col piccolo cosacco Ivanoe, per poi precipitare col tema di Rosamunda strombazzato e accelerato fino ad esplodere in un accordo dissonante comico. Ho scritto troppo, ma chi se ne frega, non voglio scrivere una conclusione, come non voglio spegnere la musica. Forse il lockdown mi sta ricordando che a tutte le età abbiamo bisogno della socialità e di ballare. Che sia ska, punk hardcore o polka, è pur sempre tupatupatupa! (Gilberto Ongaro)