recensioni dischi
   torna all'elenco


LANGHAM RESEARCH CENTRE  "Tape works vol. 2"
   (2021 )

Con Tape Works Vol. 2, appena uscito per Nonclassical Records, i britannici del Langham Research Centre ampliano ulteriormente le loro già ardite sperimentazioni e danno alle stampe il seguito del primo volume di questo progetto, risalente al 2017, che introduceva al pubblico alcuni dei primi esperimenti del gruppo, molto differenti da queste nuove composizioni.

Tape Works Vol. 2 presenta una serie di brani piuttosto recenti nei quali si mostra in tutta la sua evidenza l’evoluzione sonora del Langham Research Centre e la sua ricerca, appunto, compiuta all’interno della fisicità e della duttilità del suono. È un viaggio (inevitabilmente) ostico attraverso otto composizioni di musica concreta che utilizzano registrazioni effettuate in località precise unite a un mix cerebrale e straniante di escamotage analogici e di oggetti sonori. È una sfida a chi ascolta ed è un tentativo lacerante ed estremo di rendere ogni singolo suono solido, vivo, vibrante.

Si tratta di un percorso indubbiamente non facile. Si pensi alla nevrotica “Dinotique”, composta per il festival Stereo Spasms del Café Oto nel 2019, che celebra il 90° compleanno del gigante francese Luc Ferrari, e che spazia da frequenze industriali, stridii di (forse) altalene, sconquassi di vento e singulti lontani, con la comparsa qua e là di passi, di parole e di voci. Spinti a comporre un pezzo che “rispondesse” a uno di Ferrari a scelta del gruppo, i LRC avevano messo gli occhi su “Les Anecdotiques” (2002), in cui Ferrari unisce registrazioni provenienti da alcuni suoi viaggi a suoni elettronici da lui pensati e organizzati. I LRC finiscono, forse involontariamente, per tributare anche i Beatles della lennoniana “Revolution 9”, pietra d’inciampo del sublime Album Bianco.

Altrettanto sfuggente è la sinistra “Nachholbedurnfis”, che, tra rapidi cinguettii da pulsantiere di videogiochi dei ‘90s o di computer neonati, sembra portarci all’interno di un’industria navale, in un cupo e freddo ambiente siderurgico intervallato da frequenze instabili che guardano espressamente a tante esperienze industriali e d’avanguardia tedesche. Ancora più graffiante e movimentata è “Zugwang”, pezzo che apre il disco, nervoso caracollare di un colpevole nel braccio della morte nel suo percorso allucinato e distopico verso il patibolo. Frequenze disturbanti, suoni che ricordano tubi che sbattono tra loro, seghe, trapani e macchinari colpiscono con urgenza e violenza l’orecchio di chi ascolta, inglobandolo in un universo di segreti e inquietudini, mentre un baluginare lontano, vischioso e inafferrabile, e rumori terrigni costruiscono i territori paludosi e ostili di “Accerezzo”.

Un elemento ricorrente nel disco è l’architettura brutalista, esempio cardine del modernismo e fonte d’ispirazione dell’ensemble inglese. L’album è percorso dalle ingombranti presenze di alcune di queste strutture, come la Turbine Hall della Tate Modern nella aggrovigliata e multiforme “Terminal Voltage Traces” e le architetture parigine di Le Corbusier, Jean Renaudie e Renée Gailhoustet nella disturbante e sfaccettata “A Return to Spatial Futures”, che chiude il disco con undici minuti che trafiggono e turbano.

Con Tape Works Vol. 2, i LRC si confermano una realtà di rilievo nel panorama dell’avanguardia e della sperimentazione contemporanea. Tentando di porre i paletti della musica concreta sempre un po’ più lontano e allargando la propria visione ancor più che nella prima parte di questo progetto, riescono a dare vita a composizioni intriganti dal fortissimo impatto emotivo e dalla eccezionale coerenza. (Samuele Conficoni)