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BOB SALMIERI BASTARDUNA QUINTET  "...And mama was a belly dancer "
   (2021 )

Nell’ottimo ...And Mama Was a Belly Dancer, creato tra l’ottobre e il dicembre dell’anno passato, il Bob Salmieri Bastarduna Quintet dà vita a un disco conturbante e malizioso, un jazz molto free e pieno di licenze poetiche, un procedere avventuroso in bilico tra sperimentazione e citazionismo, tra smania e meditazione. Condotti trionfalmente attraverso i pezzi del disco da un sassofono magico e da un organo seducente, tutto il quintetto si muove con esperienza e convinzione.

...And Mama Was a Belly Dancer è nato ai tempi del Covid, tra l’ottobre e il novembre dell’anno passato, tra restrizioni e paure, ma non porta con sé le ferite di questo periodo drammatico. È, anzi, un concept album onirico e dolce, che ci conduce con brio, e solo ogni tanto con un po’ di inevitabile, necessaria mestizia, attraverso una galleria di personaggi bizzarri e di situazioni intricate e fiabesche. Siamo di fronte a “un circo immaginario”, come viene indicato nelle note di copertina rilasciate col disco, un percorso sonoro di cui è protagonista un carrozzone con nani, ballerine, mangiafuoco, prestigiatori, acrobati e altri soggetti misteriosi ed estrosi.

Il sax di Bob Salmieri ricorda un’accorata preghiera di fronte all’oceano, davanti a un tramonto romantico che pare presagire una rivoluzione alle porte. Il suo Bastarduna Quintet, formato da Giancarlo Romani alla tromba, Vincenzo Lucarelli all’organo e al piano, Maurizio Perrone al contrabbasso e Massimiliano De Lucia alla pregevolissima e raffinatissima batteria, e con l’ospite Mateusz Nawrot al vibrafono e al piano in alcune tracce, si muove sinuoso occupando i brani, accomodandovisi al loro interno e plasmandoli secondo lo stile e la maniera di ognuno. È un jazz arioso, ammaliante, eseguito da un gruppo maturo e dal talento cristallino.

I mood che il disco tratteggia sono svariati e profondi. La malinconia di “The Balinese Dancer” ricorda a tratti alcuni momenti del progetto Bar Kokhba di John Zorn, mentre episodi noir e incalzanti come “Mr. Thunder” sembrano usciti direttamente dai ‘60s, anche se attualizzati in particolare nella loro costruzione melodica, debitrice del free jazz dei Settanta e Ottanta più che delle laceranti progressioni del modal jazz di Miles Davis di Kind of Blue, che preferisce svilupparsi intorno a moduli musicali liberando gli accordi dal gravoso vincolo della tonalità. Anche la presenza dell’organo sposta l’approccio e il modus operandi del gruppo all’interno di un jazz frastagliato e moderno, che è più free che ragtime e tocca persino sfumature acid.

Nebbiosi e oscuri locali statunitensi affollano la polverosa “The Dwarf’s Lover”, che cincischia e ammicca scivolando da una parte e dall’altra come un veloce serpente, mentre più dipendente dai grandissimi del jazz ‘50s e ‘60s, in particolare John Coltrane, è “Madame Oculus”, malinconica e livida, quasi un canto funebre che sembra suggerire una speranza di rinascita, così come la title track “And Mama Was a Belly Dancer”, dove il sassofono si ritaglia una meritatissima centralità attraverso un lamento sublime e opprimente e viene accompagnato da un incipiente organo, da una batteria languida e da un contrabbasso puntuale, che detta il ritmo e i suoi cambiamenti. È un album verboso e immaginifico, che attraverso i suoi viaggi si propone di disegnare nuovi approdi per la nostra mente raminga.

Altrettanto potente nella sua mitopoietica, l’album costruisce una solidità e una coesione sonore proprio grazie alle fragilità che cerca di raccontare. I momenti rilassa(n)ti di “The Flying Devils”, dove una rincorsa sfrenata di organo e contrabbasso lascia poi spazio al sax, che sembra avere addosso tutto il dramma di quest’ultimo anno, raccontano di diavoli in cerca di riscatto o forse soltanto di divertimento, che non si curano di noi, in balìa della Tuke, incapaci di prevedere quale nuovo scherzo abbia in serbo per noi il destino. Anche nella chiusa dell’album, la ritmata e sferzante “Men with Painted Faces”, si mostra tutta la coesione sincera e appassionata del gruppo. Gli strumenti a fiato e l’organo sono sempre i padroni e si muovono con garrula frenesia. Le conversazioni tra l’organo e i fiati e tra questi e il tappeto sonoro di basso e batteria non potrebbero creare humus migliore per il dipanarsi della vita e della storia dei pezzi del disco. (Samuele Conficoni)