SEASURFER "Zombies - The dreampop days"
(2021 )
Mi innamoro facilmente di dischi così, è una questione personale, magari dovrei accennarlo al mio psicologo in una delle sedute del mercoledì pomeriggio, chissà che non ne tragga qualche spunto di analisi.
Mi innamorai perdutamente anche di “Is the is are” dei DIIV cinque anni fa, identica folgorazione. La medesima durata - un’ora e tre minuti, diciassette pezzi i DIIV, sedici i Seasurfer –, suoni affini, concezioni appena differenti (visionario uno, etereo l’altro), ma è una questione di sfumature, ed è comune l’idea di fondo: declinare il caro vecchio, immarcescibile e sempre fascinoso verbo dream-pop affogando tenui melodie in un crogiuolo di rimembranze shoegaze, riverberi, fuzz e feedback gentile.
Creatura nata nel 2013 dalla mente di Dirk Ritter, in arte Dirk Knight, i Seasurfer, originari di Amburgo, sono passati attraverso vari cambi di formazione fino all’attuale line-up a due con la cantante Apolonia; “Zombie” – terzo album dopo i due pubblicati per la statunitense Saint Marie Records - esce per la tedesca Reptile Music senza spostarsi dal centro di gravità permamente che ne aveva caratterizzato gli esordi ed i passi successivi. Con musica interamente scritta e suonata da Dirk e testi di Apolonia, l’album impasta ovvie e gradite reminiscenze di Slowdive e Cocteau Twins in una scintillante opulenza rigonfia di bassi pulsanti, meste atmosfere retrò e spleen dilagante.
E’ una festa di lievi modulazioni e variazioni infinitesimali sul tema: non c’è un chorus a svettare, non contrappunti particolari nè trovate eccentriche a scuotere le fondamenta di questa cattedrale di suono. Nell’insieme, non succede quasi nulla, ma la sottile meraviglia di “Zombies” è tutta qui, nel mix degli abituali ingredienti attesi e serviti su un piatto d’argento: mid-tempo, chitarre dilatate e dolci synth docili a saturare tutto quanto in una bolla di elettricità svenevole, come un manto di nebbia colorata che offusca piacevolmente la vista, permettendo comunque di osservare le cose da una diversa prospettiva.
A troneggiare su questo mare a tinte pastello è la voce angelica e soave, sussurrata, plasmata, soffiata, flautata – talvolta celata sotto una coltre trasparente - di Apolonia. Che recita il copione con grazia, garbo, eleganza. Misurata, mai sopra le righe, come si conviene. E’ confortevole, morbida come una carezza di mammà, fa la sua cosa senza distaccarsi mai dal canovaccio imposto o prendersi licenze impreviste, al servizio di canzoni altrettanto compassate, levigate, mansuete, prese per mano da una ritmica algida e metronomica ed incanalate lungo i binari di una esangue melanconia. Che il suono sia avvolgente (“Drifting”, oscura ballata à la Eldritch) o quasi stordente (“Tears & happiness”), convogliato in cadenze martellanti (“Too wild”) o in oasi di quiete (“Love me...DEAD!”, “Time after time”), a prevalere è ovunque un senso di ovattata, ineludibile rilassatezza.
La versione in cd comprende anche “The dreampop days”, definito come un mini di otto tracce (sei più due remix del grande John Fryer), ma che in realtà coi suoi quaranta minuti è un vero e proprio album, scritto a quattro mani con Elena Alice Fossi dei Kirlian Camera, voce in tutti gli episodi. Analogo il mood, più orientato ad un synth-pop mellifluo il risultato, che si avvale del registro vocale e dell’interpretazione squillante ed emozionale della Fossi, particolarmente apprezzabile nell’impalpabile “Shine”, nella più elaborata “Fairies in twilight”, nell’inquieta suggestione spettrale di “Fear in the woods”.
Un disco che fa bene al cuore, sul filo dei ricordi, tenero come un abbraccio. (Manuel Maverna)