PINO MARINO "Tilt"
(2021 )
Bel disco?
Palesemente importante e come quasi tutte le cose sfacciate, cova in sè il suo lato d’ombra, peccaminoso. L’autorialità, alta, ha come opposto la scarsa immediatezza. Mi riferisco ai testi e alla loro intelligibilità.
Penso scherzosamente a quando il nostro cita la marmitta Polini.
Solo chi è vissuto all’epoca della diatriba Metallari vs. Paninari potrà realmente godersi mentalmente certe diapositive d’antan.
Chi, oggi, ha anche solo la più pallida idea di cosa significhi la parola Paninaro? Il Ciao, le Timberland, il Montgomery… bei tempi.
Collegamenti aerei con Rosario Di Bella, la sua eleganza negli arrangi, la sua dolcezza timbrica. Marino è certamente meno internazionale nei richiami.
Nel modo di raccontare, di svolgere il bandolo della matassa è la mediterraneità che si mostra, netta, elettroacustica. Qualche cenno di elettronica, sempre in punta di piedi.
Le cantilene a “La mia velocità”, la sanremese “Maddalena” o la toccante spaccacuori “Roma bella” (sicuramente il pezzo migliore di questa antologia) sono manifesti programmatici di italianità in purezza, così come (purtroppo) “Caterina volentieri”, tipica filastrocca che tradisce un intellettualismo ridondante in certa produzione nostrana, traboccante di quel “non prendiamoci troppo sul serio, prendendoci sul serio” che personalmente trovo insopportabile.
Il profluvio di parole sacrifica l’emozione spiccia, la pelle d’oca e le lacrime sull’altare della cerebralità.
Intendiamoci: il cuore percepisce la dolcezza tra le raffiche di lettere e le armonie che il nostro non ci risparmia, ma gli isolati spazi vuoti rendono i momenti strumentali delle vere e proprie, necessarie, boccate d’ossigeno mentali.
E’ un disco che nonostante la data di pubblicazione possiede dei marcatori tipici anche relativamente all’età. Si chiudono gli occhi e si pensa agli inizi del 2000.
Non è necessariamente un difetto, ma certamente non lo intendo come un complimento. E’ un po’ per dire che se piace certa musica popolare, quella canzone colta che ci si aspetta in qualche festival “de quelli seri” o in qualche circolo frequentato da chi qualche libro lo mastica, qui ce n’è da fare indigestione.
Ma la connotazione così spinta, il peso esplicito della narrativa impedisce a mio avviso di sfruttare il reale potenziale espressivo che la parte armonica potrebbe regalare e che invece non riesce mai del tutto a mostrare.
Si pensi soltanto alla canzone di chiusura, “Tilt”.
Fosse capitata tra le mani di Bono degli U2 sarebbe diventata un classico da fine concerto, esplodendo rutilante al minuto terzo, quando invece di fatto cala il sipario su un recitato piuttosto convenzionale.
E’ un bel disco? Sì. E’ di spessore? Sì. E’ ben suonato, ben arrangiato? Sì. Lo riascolteresti? No.
- E allora Ale? Che mi dici di Marina?
- Mah… sai… brava ragazza, simpatica, intelligente, ci ho fatto volentieri una chiacchiera, ma non è che mi abbia preso chissà che…
- Amor, c’ha nullo amato amar perdona.
- Come scusa?
- Dante… era Dante…
- Ah.. Pensavo avessi ascoltato il disco di Pino Marino…
- Pino chi?
- Marino, Pino Marino…
- E chi è?
- Lascia stare ma’… fatti dare un abbraccio che devo scappare.
Merita un ascolto, a qualcuno piacerà di certo. (Alessio Montagna)