JET SET ROGER "Un rifugio per la notte"
(2021 )
“Un rifugio per la notte”, uscito per Snowdonia Dischi, è il nuovo lavoro di Jet Set Roger (nome d’arte dell’anglo-bresciano Roger Rossini), ed è un concept album incentrato sulla vita concitata del poeta francese François Villon (1431 o 32 – non si sa con precisione la data di morte), traendo spunto dal racconto di Robert Louis Stevenson, l’autore de “L’isola del tesoro”. Tra prog rock e accenni rinascimentali, la storia sembra aprirsi fiabesca con “La taverna”: “Dormivano tutti, solo una piccola casa era ancora sveglia, le menti all'erta”. Il secondo brano descrive il goffo fraticello “Dom Nicolas”, presente nella taverna, con un pianoforte staccato in stile comico e una slide guitar dal sapore britannico. Dal suo punto di vista, veniamo a conoscenza di “due cialtroni”, Montinì e Thevenin, che poi saranno protagonisti del terzo pezzo, dove si consuma il dramma. Montinì è “meglio non contraddirlo”, mentre Thevenin è un “sempliciotto, in fondo inadatto a questo convitto”. I due energumeni, assieme al poeta protagonista, giocano a carte. “La morte di Thevenin (l’unico giorno di gloria)” è aperto da un’armonia diminuita di chitarra elettrica, presagio di sventura. Il testo sviluppa bene il racconto e l’emotività del clima: “Ghigno beffardo ed occhi febbrili, sinistro bardo che tesse i suoi fili. Al tavolo a fianco la pressione sale, salterà il banco, qui qualcuno finisce male. Montinì sbuffa, le vene pulsanti, sospetta una truffa nelle carte davanti. Thevenin contento non sbaglia una mossa, e così facendo si scava la fossa. Una lama scintilla, un bagliore improvviso, la sua testa vacilla, poi si rovescia con un sorriso”. Si avvia un bridge con un imprevisto giro rock and roll, e i loschi figuri si dividono i soldi del defunto vincitore. La musica, finora buffa, d’ora in poi assume un tono serio. “La ronda” ci porta finalmente dal punto di vista di Villon in prima persona, che esce dalla taverna e cerca di non farsi beccare. “Occorre che mi levi di torno, se mi prendono qui, la luce del giorno la vedrò a scacchi, per un secolo o più. Sento dei passi, è la ronda, non so dove scappare”. Toccante il focus su un povero volatile morto: “Povero uccellino caduto, con il bel letto rosso sul tuo viso ossuto. Gli occhi sbarrati e la pelle blu, queste due monete non ti servono più”. Un pianoforte delicato accompagna “Lasciami entrare”, dove Villon cerca di farsi aprire dai suoi protettori: “Aprimi, cappellano, tu che mi facesti da padre, apri al povero François”. Ma sentendosi rifiutare l’aiuto, cambia tono: “Dannato vecchio, t'avrei dovuto aprir la gola, quando ne avevo l'occasione. Fammi entrare, maledizione!”. “Ballata delle dame di un tempo”, presa dalla celebre ballata del poeta, è una parentesi sognante su una bella cortigiana “per cui impazziva l’aristocrazia romana”, interpretata da una voce femminile; brano suggellato da un solenne intervento di tromba. Anche la “Ballata degli impiccati” si rifà all’omonima poesia di Villon, dove gli impiccati chiedono a chi guarda l’esecuzione di non giudicare ed essere duri, cosicché Dio non giudicherà loro. La canzone modifica alcune parole ma mantiene gli stessi campi semantici della poesia: il dettaglio macabro della carne imputridita, la richiesta di non deridere, la presenza divina. Un clavicembalo apre “I lupi di St. Denis”, tragico racconto su una madre ed un figlio che “si arresero alla neve”, raggiunti da lupi affamati. Con “Il signore di Brisetout” si passa all’“imponente maestà”, d’aspetto nobile e di “idee precise sul confine tra bene e male, una rigida morale, la sua giustizia è ferrea (…) l'ordine è una cosa chiara, c'è chi sta sopra e chi sta giù”. Di fronte ad egli, Villon risponde col brano successivo, condito dal mandolino, “Il carnevale”: “Se avessi i tuoi soldi saprei esser buono, sarei cortese, misurato (…) Credi che mi piaccia rubare? Lo detesto proprio come te”. Dopo l’ennesimo esilio, di Villon si persero le tracce. Non si sa come visse e come morì dopo i 32 anni. L’album allora si conclude con la sua libertà: “Il mattino (sono vivo ancora)”. Jet Set Roger se lo immagina così: “La pancia piena e i vestiti asciutti, mi sento giovane e pieno di energia”. E nella canzone si descrive l’alba che illumina i tetti bianchi. Eravamo partiti al buio e siamo arrivati alla mattina; così, tutta una vita è narrata nello spazio di una simbolica notte. Il disco è accompagnato dal graphic novel del serbo Aleksandar Zograf, introdotto da un saggio dello stesso Roger, basato su Stevenson. Musica, fumetto e letteratura insieme, per un lavoro pregiato, che funge da rifugio per la memoria di François Villon. (Gilberto Ongaro)