IFASTI "Tutorial"
(2021 )
Se vi manca qualche novità dalla scena torinese, quella che nell’immaginario collettivo è fatta di fabbriche e occupazioni, elettronica resistente, noise e protesta, IFasti vi daranno ossigeno. Nati dalle ceneri dei Seminole, hanno pubblicato un album che, in 8 tracce, riassume molti dei concetti fondamentali del pensiero indipendente, che getta un gelido sguardo sulla nostra condizione umana: “Tutorial”. Un tutorial per vivere, perché come dice il pezzo finale “Meritiamo”, rivolgendosi all’ascoltatore: “Hai lasciato che a inventare la tua vita fosse un libretto d'istruzioni”. Un libretto d’istruzioni che consiste nel celebre monologo di ''Trainspotting'': ''scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera eccetera''. La voce che pronuncia i testi–sentenze non è mai accomodante, scaglia le parole come un arco le frecce, e senza ipocrisie. “Ti parlo con sincerità” è la prima cosa che sentiamo, all’inizio del primo brano “L’umanità migliore”. Queste due tracce, di apertura e chiusura, circondano il disco di aspettative e frustrazioni: “In questa società avrai tutti gli onori, avrai tutti i clamori (...) se apri uno studio privato dalle parcelle molto alte, avrai tutta la droga, soprattutto la coca”. Si termina tra gli scaffali del supermercato, con un inseguimento da parte di una signora suadente, con il solo scopo di avere i tuoi bollini della spesa. Dalle aspirazioni al luogo di culto del consumismo. E nel mezzo, tra chitarre noise, sax ruggente e beat elettronici, ci sono stoccate di riflessioni senza sconti. A partire dalla profonda constatazione di “Ionoi”, che (finalmente qualcuno lo fa) sputa sul dannato story-telling dei nostri giorni: “Per essere moderni, attivi ed attraenti, devi raccontare di storie individuali, ironiche, simpatiche, fresche, malinconiche, soprattutto un po' nevrotiche. Io è la parola di questi nostri anni, noi è la parola da non usare mai. Io è lo spettacolo perenne sempre da mostrare, noi ci aggiriamo strani sperando in un conflitto che non arriva mai”. Recuperare la coscienza di un noi, di una umanità coesa, sembra così anacronistica in un mondo di tutorial “per farcela”. Quanti lupi solitari si sentono gli unici in un mondo di ombre! Che poi le ombre sono altri lupi che si sentono gli unici, in un mondo dove tu fai parte delle sue ombre. Altra osservazione acuta è “Lamore”, sulle canzoni d’amore che, per quanto siano numerose, sembrano accontentare sempre uno standard di donna e di uomo: “Mi viene quasi da pensare che abbiamo avuto tutti la stessa fidanzata, lo stesso fidanzato con gli stessi occhi”. “Pietro” è un altro macigno, stavolta un po’ confuso nel mezzo, ma non nella conclusione: è un bambino che fa domande innocenti (e per questo spietate) a una maestra che cerca di aggirare le risposte, conoscendo la realtà adulta. Ma Pietro insiste a toccare dove fa male: “Perché muore la gente in mezzo al mare?”. Alla domanda a cui nessuno vuole rispondere, si aggiunge una consapevolezza: “Lui sa che ha solo questo tempo, anche tu hai solo questo tempo, tutti noi abbiamo solo questo tempo”. La nostra vita è capitata in questo periodo storico, a cui non possiamo sottrarci, dobbiamo farci i conti. Su un ritmo trip hop sui generis, “Bomba” indaga sul terrore dei nostri giorni: “Tutti chiusi in casa, la mancanza di aria toglie anche la parola. Hai dimenticato i fiori e gli aquiloni (…) La paura si trasforma in arroganza”. Profetica questa frase di chiusura, guardando l’imbarazzante spettacolo a Washington che ha aperto questo 2021. L’argomento diventa più preciso in “Tpunto4”, sul “perenne stato di emergenza” in cui siamo costretti a restare, da molto prima della pandemia in realtà. “Buoni anni” indugia invece sull’interiorità, quella corporale, piena di cibo spazzatura, e sull’inazione: “Per quale scopo non metti in mostra un maggiore dinamismo? Invece scansi le avventure, i piatti dell'ultima cena dentro il lavandino ogni merendina, ogni gelato, ogni bevanda è già stata inventata”. In otto veloci pezzi, questo “Tutorial” dovrebbe dare una scossa non indifferente anche ai più indifferenti. (Gilberto Ongaro)