recensioni dischi
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DIEGO BITETTO  "Il giardino di mai"
   (2021 )

L’esordio del cantautore genovese Diego Bitetto arriva a 38 anni, e per accumulo di esperienze. Prolifico scrittore, seleziona 15 canzoni fra le altre, e le pubblica ne “Il Giardino di Mai”, per voce, pianoforte e strings. Ascoltando le parole, e anche alcuni andamenti musicali, si capisce perché la sua produzione abbia destato l’interesse del Premio Tenco 2020. Parla la lingua, la grammatica di quella rassegna, tra influenze di De André e anche qualche trovata comica in stile Baccini, come in “Donna fortuna”. Nel pezzo, attorno al pianoforte ci sono urla entusiaste ed applausi di un pubblico, che accentuano il tono sarcastico del testo, della serie “Vuoi un applauso?”, rivolto a una donna che se n’è andata: “Così hai trovato uno più bello di me, era anche ora (…) così hai trovato uno più stronzo di me, ed era dura”. Ma l’interesse principale di Bitetto è raccontare storie, tratte dalla propria vita, sia di ciò che ha vissuto, sia di ciò che ha osservato. C’è la dedica alla nonna “La donna di Uri”, che “visse cent’anni ma non invecchiò”; una filastrocca, terzinata come “Volta la carta”, che gira attorno una fantomatica Eleonora, “Nascondino”; la titletrack “Il Giardino di Mai”, che racconta il punto di vista di un ritardato: “Quanta fretta, anche la fretta di fuggire via, non la capisco (…) ho cercato di essere veloce come voi che sorridete, per farmi capire che male fa (…) forse per voi l'educazione va a certe velocità (…) sogno il giardino più bello del mondo, dove ognuno possa correre secondo il suo tempo, sogno l'orologio più giusto del mondo, che sia veloce per chi è veloce, e lento per chi è lento”. Chissà se questa situazione utopica non si realizzi nel B&B della famiglia Bitetto, che porta lo stesso nome della canzone e dell’album. C’è la canzone sulla realtà del rapporto da dipendente, “Millecento”: “Scegli un terzo della vita, ora chiamalo lavoro (…) e ancora adesso danno a rate lo stipendio”. Curioso il racconto di “Onoterapia”, sull’idea di importare in Italia questa pet therapy, che si basa sul coltivare relazioni empatiche con gli asini, che secondo l’ironia di Diego “cura i dolori e sana i creditori”. Ci sono anche esperienze direttamente autobiografiche, come “Gian Delle Finestre”, sul lavoro di lavavetri descritto nel dettaglio: “Quattro pezzi, due montanti due traverse”, e “Il gatto del pianista”, che come “Penelope” di Baccini è la dedica al gatto, che stavolta però non c’è più. La canzone è per metà mantenuta nella registrazione iniziale, in presa diretta, e solo la seconda metà diventa la versione in studio, così si sente il pianoforte di casa, nell’ambiente dove il gatto girava. Ma il disco si apre con “Per sempre”, dove tra le parole d’amore, c’è anche una definizione: “Il dio dei poveri, il re degli scaltri, sapete voi chiamarmi come sono”. Perché, oltre alle canzoni su di sé, ci sono anche racconti di altri personaggi: “Il paroliere”, dove le parole sono messe in sequenze scollegate, sconclusionate, e a fine canzone si capisce perché. C’è un guardiano dello zoo che decide di aprire le gabbie in “Corna corna cervo cervo”. Un pianoforte malinconico in tonalità minore, ci accompagna al confine tra Colombia e Venezuela, sul “Bolivar Bridge”, dove “si segue la fila ogni giorno, i soldati di regime fanno almeno un pasto al giorno”. Nella canzone Bitetto cita anche Maduro, l’attuale presidente venezuelano, e le sue discusse decisioni sul ponte, attraversato da migranti e teatro di scontri dal 2019. “L’amore che toglie” affronta un femminicidio, chiuso come una pubblicità progresso: “Denunciate sempre”. Infine, la seconda e la quindicesima canzone vanno nell’arte e nel fiabesco. “Due quadri di Chagall” si ispira a due lavori del pittore russo: quello celebre, dove la donna si solleva in aria e l’uomo la tiene per mano, e quello blu, con un violino che appare nel cielo, al quale si era ispirato anche Migliacci per scrivere le parole di “Nel blu dipinto di blu”. L’album si chiude con “La Maschera della Morte Rossa”, iniziata e finita con voce narrante, sul principe Prospero che sperava di fuggire alla morte, rinchiudendosi nel suo castello. Come esordiente, Diego Bitetto dimostra diversi interessi tematici, ed è positivo che, nonostante i numerosi spunti autobiografici, ogni tanto si sforzi di guardare anche oltre la propria esperienza, o perlomeno di sublimarla in panni altrui. Con un arrangiamento diverso (anche più scarno, solo voce e piano), può essere un nuovo cantastorie delle vite che incontra: un cantavite. (Gilberto Ongaro)