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VIADELLIRONIA  "Le radici sul soffitto"
   (2020 )

Il quartetto rock che si chiama Viadellironia è costituito da quattro donne che vestono le parti di antagoniste. Le loro parole sono appuntite, definite “pe(n)santi” per la loro peculiarità di non essere mai accomodanti; sono scorrette e teatralmente compiaciute d’esserlo. Vengono scoperte da Cesareo, che le produce per la Hukapan Records, l’etichetta storica di proprietà di Elio e le Storie Tese, ed ora esce l’album “Le radici sul soffitto”. Ma non aspettatevi somiglianze col simpatico complessino. Questo è un rock alternativo di matrice anni ’90, la cui flemma tipica si mostra fin dall’inizio col primo pezzo, “Bernhardt”. Probabilmente si riferisce all’attrice ottocentesca Sarah Bernhardt, dato che c’è una lunga strofa di panni vestiti: “Sarò la vittima immolata per eccesso di conoscenza, il bastardo che morendo si apparecchia la coscienza (…) nelle veci della Tosca, e invece sulla mosca che con riverenza veglia sulla merda”. Eh, vi avevamo avvisati. La titletrack pare ambientata in una stanza d’ospedale, o forse è solo un paragone iniziale, ma l’attenzione è su questo elemento fuori posto: “Guarda le radici sul soffitto, ti ricordano un amore che potresti anche marcire stando sospesa ad annaffiarle con il cuore (…) Guarda le radici del cipresso che hai piantato sotto al letto”. “Ho la febbre” è scritta e cantata in collaborazione con Edda, e un bel groove sottolinea un disagio costante: “Andiamo via da casa, che hanno facce di topi e si vantano di essere servi”. “La mia stanza” è una riflessione sugli anziani dimenticati negli ospizi: “Vorrei vedere i tuoi vent'anni come stessi dentro una lanterna (...) l'intelligenza dei tuoi occhi che si ferma”. Poi è il momento della batosta, con “Canzone introduttiva”. Un 6/8 quasi folk ci porta nel sanatorio di Aincourt, ex ospedale per curare l’epidemia di TBC in Francia del ‘29, che poi divenne campo di concentramento. La voce prende le parti di una condannata: “Mi portarono al processo dell'eccesso (…) Son troppo stanca per ascoltare una nuova sentenza sulla mia indecenza”. Poi veniamo a conoscenza del suo reato: “Annoiai l’aguzzino, la sentinella, spiegando di come tu sia così bella, e di che cosa stupenda sia questa mia pederastia”. Qui e altrove ci sono sessioni di assoli di chitarra, in cui partecipa anche il Civas. “Come vene del marmo” è molto ermetica e difficile da afferrare, iniziata e conclusa con un fastidio rivolto al proprio cane: “Se muori non mi dire che l'impero della luce non esiste (…) forse le parole tue si scioglieranno in testa come vene del marmo o come demoni cristiani dell'inferno”. Anche “Stampe giapponesi” contiene riferimenti tanto impliciti per riuscirne a fare una corretta esegesi: “Ho vissuto solo per sei mesi e son già stufa di stare ad irrigare fiori morti, che all'infuori di te non c'è alcunché di cui mi importi (…) copri gli occhi dagli eccessi e dalle porcherie delle stampe giapponesi”. Un suono più divertito ed alleggerito ci viene concesso per “Architetto”, dove l’idea che nel brano ci sia Mangoni viene presto confermata, incarnando un vicino che si lamenta del chiasso. La canzone passa tra descrizioni edili e desideri di convivenza: “Passeranno mille soli ed altri cento, a tesserci i capelli nell'argento (…) il geometra mi chiede se la voglio a corridoio o ad ombelico. Mio dolce amico, io ti rispondo che la voglio tonda come il mondo”. Finito il divertissement si torna alle parole - proiettili con “Simile a un morente”: “Ma uno schermo ti ricorda bruscamente che sei simile a un morente preoccupato soprattutto di morire sorridente. La tua bocca mi pulisca la coscienza”. “Figli della storia” chiude l’album, con una frase irriverente che sembra riferirsi, oltre alla canzone stessa, alle reazioni degli ascoltatori: “Se vi ho offeso non volevo, su sgridatemi e non lo faccio più”. Qui e ne “Le radici sul soffitto” ritorna un riferimento a Saturno, che in astrologia rappresenta il pianeta della privazione, delle difficoltà e della vecchiaia. “Anche Mozart aveva un gran terrore della morte (…) Com'è possibile far parte della storia se non assomigli a niente e se sosti quasi sempre sulla soglia?”. Temi ricorrenti sono la morte, ed il tempo che scorre, così perfetto nell’infanzia (“Innamorati controvoglia, instupiditi dal fascino celeste dei bambini”) da suscitare voglia di rivalsa, almeno così fanno intendere: “Un cadavere germoglia nei giardini, Montanelli che ci mostra i figli della storia”, riferendosi evidentemente al lato più esecrabile del celebre giornalista. Che dire, se il sound delle Viadellironia è facilmente riconoscibile, e le parole non fanno dormire! (Gilberto Ongaro)