LA JACQUERIE "Il mare"
(2020 )
Siate avvisati: non basterà un singolo ascolto per entrare nel mondo sghembo di La Jacquerie, quartetto perugino al debutto con le cinque tracce de “Il Mare”, venticinque minuti che impastano con sorprendente naturalezza elementi cantautorali e divagazioni prettamente off.
Attraente ed accattivante, come un rebus, come una lettera scritta con l’inchiostro simpatico, come una roccia sedimentaria che è fatta a strati, “Il mare” ha bisogno del suo tempo per svelarsi poco a poco, mano a mano, passo dopo passo, goccia a goccia.
C’è tanto De Andrè nell’apertura de “Io credo il mare”, nelle cesure del canto e nella poesia delle immagini, portate a spasso dalla chitarra elettrica che ne gonfia il chorus fino a farne una ballad da Bob Mould; c’è la lunga intro strumentale di “Chi si accontenta muore”, al cui interno sta nascosto un piano elettrico che cita “Riders on the storm” prima di tuffarsi in un mood psych/prog anni ’70 screziato da suggestioni etniche; o ancora c’è la ballata storta di “Non si vola” sospinta dal crooning profondo di Simone Piccini, delicata e sorniona a ricordare qualcosa che sta a metà strada tra Lucio Dalla e gli Yo Yo Mundi.
E potrebbe già bastare. Ma poi arriva “Prima il tuo nome”, al cospetto della quale non si può dissimulare ammirazione, mentre arranca per oltre sette minuti stretti come un incubo attorno all’ennesima tragedia di anime migranti abbandonate all’umana follia ed alla furia impietosa degli eventi. Lo fa con intro, inciso ed outro in un dialetto africano, lotta, resiste, s’impenna disperata in un tormento elettrico che ne accresce tensione e drammaticità mentre ripete in un mantra parossistico l’addio definitivo: “Prima il tuo nome/grido forte il tuo nome/prima il tuo nome/prima che la voce diventi di sale/prima il tuo nome/grido forte il tuo nome/prima il tuo nome/prima che l’onda muoia con me”.
Resta il tempo per la chiusura di “Passannante”, che chissà dove vuole andare a parare con quella world-music placida sublimata da un minuto e mezzo di fiati che riportano tutto a casa: null’altro che il preludio al prossimo riascolto, alla scoperta di qualche dettaglio che sicuramente era sfuggito. (Manuel Maverna)