PHILIPPE PETIT & MICHAEL SCHAFFER "I"
(2020 )
Il mondo elettronico modulare e futuristico di Philippe Petit incontra le chitarre riverberate e tremolanti del pittore Michael Schaffer, che utilizza la chitarra come il pennello. Robotica caleidoscopica e calore espressivo uniti insieme danno vita ad “I”, appena uscito per Opa Loka Records. Dal comunicato, pare che i due si siano ispirati ad un panorama in cui si sono trovati: una montagna di cui la cima era coperta da una nube minacciosa, mentre tuonava. Di fatto però, quello che ascoltiamo è molto astratto, e ogni ascoltatrice/tore può percepire cose diverse. Il lavoro è diviso in quattro capitoli. “I”, il primo (di dieci minuti), ha la classica consistenza ambient per antonomasia: drone infiniti, delay infiniti, tutto infinito e disteso insomma. “II” invece, indica una direzione cyberpunk. Petit all’inizio si diverte a cambiare di netto il volume degli impulsi emessi, facendo presagire che qui ci sarà ben poco di rilassante. Infatti, nonostante un’oasi al centro dei tredici minuti, fatta di arpeggi da Campi Elisi, siamo sempre circondati da disturbi taglienti. Disturbi tridimensionali ora più noise, ora più ammiccanti alla chiptune. Il terzo capitolo dura ventuno minuti, aprendosi come un viaggio in astronave, dove la carlinga è l’elettronica, e la chitarra gli strascichi di carburante. Ma lungo il viaggio troviamo asteroidi di armonici, ostacoli ed allarmi ossessionanti, di cui non troviamo il pulsante di spegnimento. Al quindicesimo minuto siamo sospesi in una zona minacciosa, e se non gradite la metafora spaziale, qui potremmo essere in qualche abisso oceanico. “IV”, infine, risulta meno avvolgente di “III”: sono impulsi appuntiti e rivolti all’orecchio destro, mentre a sinistra si rassetta una ferramenta. Se ti senti perso e hai freddo, la chitarra arriva in soccorso con degli appigli psichedelici quantomeno riconoscibili, per chi è abituato alla musica psichedelica. Ma poi anche le corde diventano infide, con un tremolo inquieto accanto a un nugolo di insetti sintetici che ti infesta le tempie. Il percorso continua coerente, dal precedente “Into the maelstrom” e dal più recente disco ispirato dal romanzo di Philip K. Dick “Blade runner: do humans dream of electronic sheep?”. L’elettronica di Petit non è mai accomodante, e le pennellate chitarristiche di Schaffer lo assecondano in questa direzione, alla pari dei suoi quadri surrealisti. (Gilberto Ongaro)