NORTHWAY "The hovering"
(2020 )
Da qualche anno voglio bene ai Northway.
Mi piace considerare questo disco come un ritorno alle origini, agli albori di un suono che oggi si chiama post-rock e che ieri neppure esisteva, perchè il post-rock - ci tengo sempre a specificarlo ad uso e consumo delle nuove leve – trent’anni fa era un’altra cosa, nemmeno imparentata con la forma odierna. Forse il post-rock di oggi discende dai Talk Talk di “Spirit of Eden”, forse dai Bark Psychosis di “Hex”, chissà. Certo non dagli Slint, chè quello era un capitolo diverso.
Voglio bene ai Northway da “Small things, true love”, esordio autoprodotto datato 2017 che colpiva profondamente per la capacità di riscrivere il verbo post-rock in un linguaggio non così infarcito di manierismi comodi. Era audace, in un suo modo elegante e raffinato. Optava per una rilettura molto personale della materia, quasi rinunciando a gonfiare i brani fino al prevedibile climax tipico del genere.
Restava attendista, trattenuto, in sorniona aspettativa di un’esplosione che stentava ad arrivare.
Eleganti e raffinati i quattro ragazzi della bergamasca lo sono anche oggi nelle sei tracce di “The Hovering”, pubblicato per la sempre interessante I Dischi Del Minollo e già pronto per l’uscita – poi rimandata – a cavallo del lockdown. Del debutto conserva intatta la soave delicatezza che ne distingueva le trame; forse – ma non è importante - teme di osare qualcosa di più, spostandosi di lato anzichè avanzare. Fa sontuosamente ciò che deve, ma non rischia, ed è un peccato. Poco conta: ti lascia crogiolare nel toccante vortice di “Hope in the storm” mentre si concede di tornare alla primigenia, canonica scrittura post-rock cui siamo ben abituati nella vibrante accoppiata iniziale formata da “Point nemo”e ”Kraken”: Mogway, This Will Destroy You, God Is An Astronaut, Explosions In The Sky e compagnia (non) cantante.
Rimane fedele a sé stesso percorrendo sentieri non sempre già battuti: “Edimburgh of the seven seas” si dissolve gradualmente in note di piano anzichè inseguire il prossimo movimento in crescendo, preferisce non cedere alla scontata deflagrazione-ad-ogni-costo ripiegandosi introversa su atmosfere desolate e morbide. In coda, i dieci minuti di “Deep blue” caracollano su una linea di basso avvolgente come faceva “Arrival” in apertura di “Small things, true love” andando a spegnersi nell’ennesima oasi di quiete tutt’altro che effimera, suggello ad un album suadente nelle sue minute, quasi timide divagazioni.
“The Hovering” somiglia ad un esercizio di stile che scorre garbato, di rado satura, di nuovo si placa simulando l’onda in mare aperto: quello dei Northway resta un mare placido, perché sarà anche tutto un gioco di trattenere e rilasciare, ma ci vuole classe per parlare solo attraverso le immagini evocate dal prossimo ascolto ad occhi chiusi.
Per essere un ritorno alle origini non c’è male, n'est-ce-pas? (Manuel Maverna)