ZEITKRATZER "The shape of jazz to come"
(2020 )
Il contenitore di anarchia musicale chiamato zeitkratzer (sempre scritto con la zeta minuscola dallo stesso creatore) ospita tutti gli esperimenti di Reinhold Friedl, che capitalizza tutto ciò che tocca. La formazione presente in questo nuovo lavoro “The shape of jazz to come” (appena uscito per zeitkratzer Production), oltre a presentare numerosi nomi che permettono di parlare di un supergruppo, sceglie di fare “cover”, vere e proprie reinterpretazioni di brani standard del jazz, ma anche esempi che nessuno avrebbe avuto il coraggio di toccare. Come “Bird song”, l’incredibile pezzo di Muhal Richard Abrams, noto nei suoi anni nel free jazz, ma che nascondeva un lato molto più sperimentale ed elettronico, fatto riemergere da Friedl stesso, poco tempo fa (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=7512). Se già la versione originale del 1968 era completamente folle, ora siamo alla follia sopra la follia. Il recitato iniziale viene fatto cantare da una melodia improvvisata (e toccante) da Mariam Wallentin, cantante norvegese protagonista dell’album. Questa nuova versione di “Bird song” fa litigare violino, batteria, sax, clarinetti e tutto il resto dell’orchestra, fra cinguettii e note sbraitate. Dopo un quarto d’ora, placatisi i musicisti, senza avviso parte un’irresistibile dixieland: “Struttin’ with some barbecue”. Le battute finali, che sembrano arrivare ad una conclusione festosa, invece si moltiplicano, fino a divenire parodia di sé stesse, e si precipita tra i glissati di tutti gli strumenti, e i lamenti vocali, in “Cry me a river”. All’inizio non assomiglia per nulla alla versione di Ella Fitzgerald. Sembra piuttosto l’interpretazione letterale del titolo: un fiume di note piante, da tutti quanti (nel senso letterale derivato dal verbo piangere). Ma ecco, dopo due minuti, Wallentin intona il tema scritto da Hamilton nel ’53, mentre Reinhold la accompagna al pianoforte. Gli altri strumenti restano parzialmente indisciplinati: c’è chi segue la cantante, e chi continua a piangere per i fatti suoi. La schizofrenia riporta ad una malsana allegria dixieland con “Jelly roll blues”, accelerando l’originale di Emma Barrett e rendendola più dissonante. Friedl al pianoforte si fa serio, introducendo il pezzo iconico di Billie Holiday: “Strange fruit”. L’interpretazione di Mariam è parecchio rispettosa dell’originale, e restituisce i brividi. Fiati e violino sperimentano anche qui, ma in maniera più adatta al contesto, senza ironia. Si vira alla dissacrazione nell’irriconoscibile “Drummer song”, dove al posto dei virtuosismi pianistici di Geri Allen, c’è spazio per lo scat vocale, un po’ di pianoforte impazzito, e chiacchiere allucinate dei fiati. In pratica, le idee in mente al fondatore degli zeitkratzer, ogni volta che arriva un nuovo ospite a suonare, crescono in maniera esponenziale. Come non bastasse, i contrabbassisti sono due; per cui anche le basse frequenze sono sollecitate in maniera brutale. Come ultima tappa, si arriva a “My funny Valentine”, con riferimento alle versioni di Chet Baker per il trombettista, e di Ella Fitzgerald per la cantante. Nonostante i tuoni, causati dai due contrabbassi insieme, questo sembra essere il brano più sui binari tradizionali del jazz, mentre finora il viaggio sembrava essere fatto su un’automobile sollevata su due ruote. Questi i nuovi giochi da zeitkratzer. Come ci stupirà Friedl la prossima volta? (Gilberto Ongaro)