ARVO PART "Works for choir"
(2020 )
Una serie di composizioni per coro che vanno dal 1989 al 1991 mostrano tutto il talento e la versatilità di Arvo Pärt, uno dei compositori e sperimentatori più coraggiosi e intriganti della nostra epoca. Nato in Estonia nel 1935, Pärt non ha mai smesso di ingaggiare gli altri e sé stesso in una continua ricerca artistica e filosofica, provando a indicare con la mano una libertà sempre e solo sognata.
Arvo Pärt non si è mai fermato. Sin dal suo lavoro di snodo, che ha di fatto dato il via al periodo più rilevante della sua carriera, quel Credo (1968) velato da una abbacinante metamorfosi di trasformazioni e intuizioni, un crescendo mai asettico di sussurri e carezze, Pärt ha fatto capire quali fossero le sue idee artistiche e filosofiche, non tradendo mai i suoi principi e i suoi approcci. Gli Anni Settanta furono altrettanto sconvolgenti e incisivi; gli Ottanta, poi, portarono altre novità, su tutte il trasferimento in Germania di Pärt. E così, a cavallo tra Ottanta e Novanta, si piazzano questi Works of Choir sognanti e drammatici, appena pubblicati da Cugate Classics.
Rimasterizzate da Helmut Erler a Berlino, queste composizioni trasudano di una solidità solo apparente, costellate in realtà da un’infinità di crepe dalle quali una luce trapela; perturbazioni, passi soffici e andanti, costruzioni geometriche sbriciolate in un attimo. Pärt ha pensato a ogni cosa: imposta un discorso, crea una narrazione, una linea, la piega, la strozza, la contorce in un filo infinito di pieghe e impressioni.
Sornioni o trancianti, ciondolanti o diritte, queste composizioni – undici – si incuneano, oblique, nella psiche del mondo, nell’umanità e nei suoi vezzi, in quel continuo do ut des che è tra l’arte e l’autore. Uno sfarfallio estroso, un baluginare di intrichi diafano e caldo percorrono questi Works for Choir fino a renderli cupi, sabbiosi, eppure pieni di vita anche in quel deserto gelato che creano. Che noi prendiamo, accogliamo, non senza qualche paura o inquietudine, ma grati del fatto che possiamo goderne.
(Samuele Conficoni)