recensioni dischi
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FRANCO BATTIATO  "L'era del cinghiale bianco"
   (1979 )

Il mondo musicale e la discografia, tanto tempo fa, erano qualcosa di molto, molto diverso. Per cui poteva capitare che un soggetto in giro da ormai 15 anni e con 8 album all'attivo non venisse mandato a fare il pizzettaro, ma alla sua idea di fare "canzonette" gli venissero, invece, aperte le porte. L'album che inizia la nuova carriera di Battiato arrivò appunto in un momento in cui il Nostro da un lato era incuriosito all'idea di mettere tutto quanto appreso in quegli anni nel formato "3 minuti", e dall'altro, chissà, la prospettiva di cacciarsi due soldi in tasca male non gli faceva. Oltretutto, malgrado anni di Polluzioni e Za, lui mai si era distaccato dal mondo più facile, anche se i contatti erano sempre avvenuti a modo suo: canticchiando su progetti hippie, o scrivendo sotto falso nome per altri (clamorosa "Pop star", dove Battiato rende l'altrimenti canonica Ombretta Colli una versione milanese di Nina Hagen). Per buttarsi nell'agone, quindi, ma alle sue condizioni e con musicisti di primo piano un un momento in cui era normale, per tutti, collaborare con tutti. Alberto Radius alle chitarre, Tullio De Piscopo ai tamburi e il già fedele Giusto Pio ai violini. Il Battiato che conosciamo noi parte con la sviolinata che apre la title track, e con i primi veri testi cantati da un bel po' di anni, dove già si riconoscono alberghi tunisini, sigarette turche, e tanti accenni ad altre culture e filosofie che avrebbero reso, negli anni, ogni suo brano una specie di metarealtà da cui andare a studiare altre cose e finestra su altri mondi. L'album incuriosì più che diventare eroico nelle vendite, con "Magic shop" a prendere di mira il commercio di icone religiose (e sarebbe poi dovuto andare da Amanda Lear a spiegarle, in faccia, la citazione), i primi mullah della sua discografia in "Strade dell'est", e almeno un altro brano, "Il re del mondo", che sarebbe poi diventato parte integrante dei suoi best-of quando poi, negli anni a venire, sarebbe nato il culto di Francuzzo nostro. Alla fine "L'era del cinghiale bianco" è lavoro imprescindibile, che venne giustamente riscoperto dopo, quando appunto un qualche sintetizzatore e una aumentata consapevole ruffianeria compositiva lo portò a vendite milionarie. Ma, in quella fine 1979, il pubblico ancora non aveva capito cosa aspettarsi dal Nostro. (Enrico Faggiano)