recensioni dischi
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OTEME  "Un saluto alle nuvole"
   (2020 )

Sette musicisti fissi più sei ospiti per l’Osservatorio delle Terre Emerse, ovvero gli Oteme. Tra gli ospiti, spicca Blaine Louis Reininger al violino, il fondatore dei Tuxedomoon. L’album “Un saluto alle nuvole” nasce prendendo spunto da alcune interviste fatte al personale medico dell’Hospice di San Cataldo (Lucca) e anche ad alcuni parenti dei pazienti, riportate nelle tracce. Testimonianze di vita trasformate in musica d’avanguardia davvero indefinibile ed affascinante: orchestrazioni dissonanti, cori polifonici per contrappunto e isocronici, fasi quasi jazz ma non improvvisate. Una ricchezza sterminata di sperimentazioni che è impossibile riportare interamente qui. Per “Chiudere quella porta”, si è scelta una riflessione sulle persone che vivono “vite marginali” per la società, mentre in “E c’è qualcuno” ci si focalizza sul “rapporto tra il paziente e l’OSS”, tra vibrafono e chitarra acustica arpeggiata. Oltre agli strumenti tradizionali ci sono anche le stoviglie di “Un ricordo bello”, mentre un’infermiera racconta le prime esperienze lavorative, i primi pianti tornando a casa. “Ero quasi contenta di essere a lavoro per Natale”, dice, portando in sé il senso della propria missione, e intanto il flauto traverso imita gli uccellini. Contrabbasso e batteria imbastiscono un 3/4 zoppicante per “Dieci giorni”, raggiunto dal clarinetto. Sopra il ritmo giocano clavicembalo e chitarra elettrica, mentre il countdown che continua a ripetersi dall'inizio, alla fine porta a un'esplosione, i cui cocci rimbalzanti sono tradotti in musica dalle percussioni. Lo strumentale “Gli angeli di San Cataldo (Bolero quarto)” è composto per viola, flauto, elettronica ed armonica a bocca. Gli arrangiamenti sono un capogiro di timbri e suoni, che soddisferanno chi ama gli accostamenti di colori: dapprima un coro medievale etereo che canta le parole scelte dall’intervista, commentato da batteria e flauto; in seguito, si alternano clarinetto, banjo, pianoforte ed arpa in una successione rapidissima di ottave. La traccia più lunga “Turni”, in undici minuti ha di tutto, mentre si coglie il fulcro del concept, tratto sempre dalle interviste: “Alla morte non ci si abitua, significherebbe che dovrei smettere”. Chi parla, spiega i turni in ospedale: pomeriggio, e poi mattina e notte (chi scrive è figlio d’infermiera e può testimoniare la difficoltà che comporta). Il testo viene suddiviso nelle tre voci, due cantanti e una… urlante. Da mettere in risalto, al centro del brano, un lunghissimo ed eccellente unisono di chitarra elettrica, vibrafono, ottavino e clarinetto. “Una mamma disperata” è una dolorosa lettera, e cantarla dà un certo disagio: essendo l’interpretazione vocale piuttosto logogenica (ovvero attenta alla declamazione delle parole) e non patogenica (cioè teatrale, enfatica), non si capisce se si sia riusciti a razionalizzare una sofferenza che non si può elaborare (la perdita di un figlio), o se il risultato sia un clima surreale e straniante. Forse quest’ultima, perché l’intento dell’intera composizione è proprio quello di affacciarsi alla morte, quella reale, e dei loro testimoni, e della vita che le circola intorno. Come in “Per i giorni a venire”, dove l’intervistata racconta della “forza di Giovanni che un’ora prima di morire faceva il bagno”, e di “Antonio che portava il prosciutto”, della solidarietà tra medici e parenti dei pazienti, che si sentono un’unica famiglia, mentre la musica si fa sempre più rarefatta e dialoga col silenzio. Insomma, muore anche la musica. E infine, un breve strumentale ci congeda, la titletrack “Un saluto alle nuvole”, per arpa e armonica a bocca. Non è un lavoro di facile ascolto, questo, ma di sicuro di facile coinvolgimento. Ed oltre ad essere testimonianza di vita e di morte, nel delicato punto di incontro quale è un ospedale, è anche un’espressione musicale molto originale ed interessante, che caratterizza gli Oteme in maniera inconfondibile. (Gilberto Ongaro)