THE DEVONNS "The Devonns"
(2020 )
Ascoltare l’album di debutto dei Devonns è sedersi sul patio e guardare il mondo in un giorno di pieno sole attraverso delle lenti polarizzate in grado di restituire i colori pastello tipici delle foto degli anni '70 mentre si sorseggia un Harvey Wallbanger.
Personalmente lo trovo un disco estremamente semplice, forse anche troppo.
E’ un’antologia di soul music targata 2020, ma potrebbe tranquillamente essere uscita 50 anni fa e non se ne sarebbe accorto nessuno.
Suona da Dio. I musicisti coinvolti sanno bene qual è il loro mestiere e regalano un’esperienza di spessore in tal senso. Non occorre leggere tra le righe del comunicato stampa per rendersi conto del peso tecnico presente tra le tracce di questo lavoro.
L’armamentario utilizzato è quello classico: arrangiamenti generosi, fiati, archi, tempi sincopati, stop & go, sezione ritmica gustosissima, grande padronanza a livello armonico.
Se però potremmo stare a discutere ore sulla preziosità dell’apporto strettamente tecnico dei singoli musicisti, quello che a mio avviso manca sono delle grandi canzoni e soprattutto una grande voce.
Diamine! Pensiamo a cosa faceva davvero grande la musica di quel periodo: melodie pazzesche, voci pazzesche.
Se dico soul non posso prescindere dal cuore che si spacca in due ascoltando gente come Marvin Gaye, Otis Redding, Wilson Pickett, Solomon Burke… Non devo continuare, vero?
Citiamo una band da poter tranquillamente accostare agli ideali artistici dei Devonns: i Blood, Sweat & Tears.
Mettiamo sulla piastra “I love you more than you’ll ever know” e ogni filosofia possibile perde di senso dopo meno di 30 secondi.
Il problema è che sembra che tutte le energie in questo debutto omonimo siano state spese nel tentativo di ricreare le atmosfere tipiche della Windy City del periodo senza preoccuparsi però della ciccia, delle canzoni, che finiscono per assomigliarsi tutte. Non sono brutte, ma non lasciano il segno, è tutto già stato suonato, ascoltato e digerito mille, duemila volte e, come dicevo, l’altra nota dolente è quella di un cantante che trovo privo di personalità, col suo timbro monocorde teso a raccontare cose trite senza quell’enfasi necessaria che la pelle d’oca esige.
E’ un disco piacevole, prodotto alla grande, lo si può ascoltare tranquillamente un tot di volte come sottofondo di una giornata estiva, ma gli scossoni stanno altrove.
Il ragazzo ha le capacità, è solo che non si applica: 6. (Alessio Montagna)