ANDREA FABIANO "La timidezza delle chiome"
(2020 )
Chissà quanti concetti importanti ci sfuggono dall’orbita delle nostre osservazioni. Esempio, ci siamo tutti trovati in un pic-nic (almeno una volta) a distenderci sotto gli alberi per schiacciare un pisolino, no? E vedere in alto imponenti rami che s’intersecano senza mai toccarsi, ce lo siamo mai domandato perché ciò non avviene? Ebbene, la risposta ce la fornisce il cantautore novarese Andrea Fabiano col debut-album “La timidezza delle chiome”, ispirandosi all’omonimo fenomeno descritto dal botanico francese Francis Hallè, intorno agli anni ’40. La natura sa come difendersi, garantendo luce, aria, senza prevaricazioni reciproche per non subire (anche) attacchi parassitari. Il carnet propone un settebello di canzoni garbate, umili, che denotano idee meritevoli di far parte dell’entourage dell’underground, quello lontano da progettualità chiassose e fuori luogo. Detto questo, sarebbe lecito attendersi già con “Animale” impeti sussurranti, che puntualmente spuntano in itinere dell’opera senza riluttare passaggi ritmati. “Un po’ di silenzio” ci sta bene, certo! Ma, se l’acustica concepita non rimane in confini troppo cheti, si gusta tutto con estremo interesse, e “Il dono più grande” di Andrea è giusto quello di offrire con questa e le restanti songs un ascolto rispettoso, stimolatore di buon “vecchio” cantautorato. Poi, Fabiano stilizza la titletrack prima con intro “a cappella” e poi facendo fluire un malinconico fiume strumentale. Invece, ad ornare l’arredo di “Carne tremula”, ci pensa la mestizia di una tromba che ben tratteggia l’humus toccante voluto dal Nostro, con suoni setacciati per raccogliere il meglio dall’orto ideativo. Arrivati quasi al traguardo, con “L’unico modo che ho” Andrea s’accosta di molto al mondo carezzevole di Niccolò Fabi per descrivere l’anelito di conquistare una donna con con-tatto vero e poco social. Infine, disegna in “Un luogo altro” l’evasione di una libertà agognata che sconfini anche dalla realtà, attraverso l’utilizzo di una chitarra gentile che ingloba sogno ed illusione. La timidezza, come la vede (a ragione) Fabiano, non va scambiata come elemento d’impaccio sociale, ma, bensì, vuol essere un veicolo di premura, di attenzione, una bilancia colloquiale per non ferire la sensibilità altrui; però, coi tempi che corrono, purtroppo, la sommessa ritrosia risulta fuori moda, crea scarsa attrattiva poiché le persone sono (ahimè!) calamitate dalla pochezza della falsa allegria, esibita per risultare affabili e persuasivi. Fabiano, però, fa bene a corazzare la sua timidezza dalla tentazione di creare canzoni ammiccanti, in quanto ha capito che quella è la sua ricchezza ispirativa, modulata per continuare a regalarci scrigni di purezza cantautorale. (Max Casali)