recensioni dischi
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AKSAK MABOUL  "Figures"
   (2020 )

Quella degli Aksak Maboul è una lunga storia, che parte nel Belgio del ’77 con la collaborazione tra Marc Hollander e Vincent Kenis per il debutto avant rock "Onze Danses Pour Combattre la Migraine" (tradotto “Undici danze per combattere l’emicrania”), un’opera ironica, coraggiosa e spesso affiancata alla scena del rock di Canterbury.

Non a caso, nell’80, per la seconda uscita, "Un Peu de l'ame des Bandits", si aggiungono due membri degli Henry Cow: Chris Culter e Fred Frith, gli Aksak Maboul diventano ancora più sperimentali, iniziano a gravitare intorno al rock in opposition e a tutta l’avanguardia artistica del periodo.

Poi Marc Hollander continua la sua carriera sotto altre sigle (Art Bears e Honeymoon Killers), fonda anche la Crammed Disc e sforna dischi di Aquaserge, Juana Molina, Tuxedomoon, Colin Newman e tanti altri, ma degli Aksak Maboul non si hanno più notizie.

Ciò fino al 2014, quando, a sorpresa, tornano per il terzo disco “Ex- Futur Album” con una formazione che comprende il titolare Marc Hollander e la cantante Veronique Vincent. “Ex-Futur Album” è molto apprezzato dalla critica e da alcuni musicisti “colti”, che decidono addirittura di coverizzarlo interamente; tra i presenti Laetizia Satier degli Stereolab, che riconosce in Veronique Vincent una chiara fonte d’ispirazione per il suo modo di cantare.

E siamo ai giorni nostri: nel 2020 arriva “Figures”, Marc e Veronique ci riprovano e fanno di nuovo centro.

Ventidue tracce divise in due dischi (quello che una volta si chiamava doppio album), un’opera imponente con ospiti di tutto rispetto: da Fred Frith, ormai di famiglia, al Tuxedomoon Steven Brown fino a tre membri degli Aquaserge.

Dentro a “Figures” c’è di tutto: raffinato pop sperimentale, ritmiche krautorock, easy listening, colonne sonore d’antan, jazz, influenze arabe, indiane, Edgar Varese, Serge Gainsbourg e Robert Wyatt.

Possiamo dire che “Figures” condensa cinquant’anni di musica alternativa, rimescolata e rimodellata secondo l’estro creativo del duo.

Tutti i brani sono in costante evoluzione, saltellano con leggerezza da un genere all’altro con la consapevolezza che non esistono ostacoli o barriere che possano fermare il genio dei Aksak Maboul.

Impossibile rimanere immuni al motorik alla Neu di “Un Caid”, agli Stereolab da jukebox di “Spleenetique”, all’urban jazz mutante a due voci di "Dramuscule”, alla filastrocca prog di “Histoires de fous”, all’eleganza Tortoise di ”Formely known as defile”, e al vortice psichedelico finale di “Tout a une fine”.

Difficile sintetizzare in poche righe una tale moltitudine di paesaggi sonori, influenze, citazioni e rimandi.

L’unica certezza è che gli Askak Masoul, a più di 40 anni dalla prima apparizione, hanno ancora molto da dire e, soprattutto, tanto da farci sentire.

Ora tocca voi. Ascoltateli, assolutamente. (Lorenzo Montefreddo)