recensioni dischi
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PURTENANCE  "Buried incarnation"
   (2020 )

I Purtenance sono un nome tutt’altro che nuovo per tutti i fedelissimi del metal scandinavo o, più nello specifico, del death. Dopo essersi presentati nel 1991 con “Members of Immortal Damnation”, i Purtenance sono rimasti in silenzio per moltissimi anni, prima di ricominciare a scrivere con una certa regolarità nel 2013. “Buried Incarnation” è il quarto capitolo discografico per la band finlandese, il terzo negli ultimi sette anni che sono stati segnati anche da diversi cambi di formazione e da lavori non propriamente a fuoco. Con “Buried Incarnation”, però, i Purtenance hanno saputo tornare alle origini, ricominciando da un death metal piuttosto classico, che accoglie elementi doom, ma rinuncia a diversi elementi di contorno non ben integrati nel contesto: la scelta è stata quella di rallentare i ritmi, scegliendo sonorità evocative in luogo delle violente sferzate che hanno caratterizzato i brani negli ultimi tempi. La scelta ha pagato e ci ha regalato i migliori Purtenance di questo millennio: “Under the Pyre of Elightenment”, “Lifeless Profundity” e “Dark Womb of Nothingness” sono i migliori passaggi di un album che, però, ha ancora il difetto di apparire già sentito per larghi tratti. I Purtenance si rimettono parzialmente in carreggiata con un lavoro che farà felici i fedelissimi del genere, ma che rimane ancora distante dagli standard qualitativi del passato. (Piergiuseppe Lippolis)