recensioni dischi
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CORPO  "Corpo III"
   (2020 )

La fine degli anni settanta del secolo scorso, definiti non a caso “anni di piombo” data la pervasività della violenza di matrice politic(izzat)a, è stato un periodo travagliato sotto molti aspetti, musica compresa. Il furore ideologico post-sessantottino alimentava un clima cupo che tendeva a schiacciare ogni espressione artistica su asfittiche logiche dicotomiche basate sulla contrapposizione destra- sinistra, madre di tutte le polarizzazioni. “Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?”, cantava con impareggiabile acume e piglio dissacratore il geniale Giorgio Gaber (Destra-Sinistra, da La mia generazione ha perso, CGD East-WEST, 2001). Anche ai concerti spesso si respirava un’aria pesante che non di rado sfociava in episodi di contestazione - strano ma vero - prevalentemente indirizzata verso quei gruppi la cui musica intendeva porsi in opposizione, o comunque in alternativa, al “sistema” –gergo dell’epoca. “Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso”, canterà uno dei pochi artisti che è saputo emergere dalla mediocrità di quegli anni, un altro genio italiano, Franco Battiato (Up Patriots to Arms, da Patriots, EMI, 1980).

Originato nei tardi anni Sessanta e in piena fioritura nei primi Settanta (un periodo creativo forse irripetibile), il progressive rock era entrato in piena crisi, stretto fra l’incalzare della rabbia iconoclasta del punk e le effimere sirene della Febbre del sabato sera con i suoi battenti e massificanti ritmi di cassa a spazzar via ogni tipo di riflessione critica. Nella disillusione sociale cresceva il culto dell’immagine abbinato a richieste di evasione e divertimento a-finalistico non certo spontanee ma abilmente indotte, manovrate, ghermite dall’industria dei consumi (come tutt’ora del resto). Il cosiddetto “riflusso” era alle porte: “Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare, siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro” (Battiato, Bandiera Bianca, da La Voce del Padrone, Emi, 1981).

Le icone del progressive italiane e internazionali che non uscirono di scena cercarono di adattarsi a questo tsunami culturale ed assecondare le esigenze di “mercato” affidandosi a strutture musicali semplificate basate sulla ritmica, con risultati talvolta apprezzabili, altre volte strizzando l’occhio al pop - quindi snaturandosi - disastrosi. Le lugubri previsioni che decretavano la morte del prog non trovarono riscontro nei fatti, tanto che dal finire degli Ottanta e per tutto il decennio dei Novanta, anche attraverso l’incontro fecondo e rivitalizzante con le componenti più virtuose dell’heavy metal, si è celebrata la reunion di molti gruppi storici, unitamente alla nascita di formazioni new-progressive che hanno saputo coniugare tradizione e innovazione: ma questa è un’altra (bella) storia.

Le giovani band di allora si ispiravano ai miti dei primi Settanta si trovarono fra l’incudine di un passato che stava crollando e il martello di un presente che non consentiva spazi di espressione. Fare musica era un’impresa ardua, eppure c’era chi si sforzava di nuotare contro corrente, anche in Italia. Una di queste realtà viene dal Salento, terra di grandi tradizioni musicali, ed è proprio la band di cui ci stiamo occupando.

Nel 1979 i Corpo registrarono una serie di brani che, grazie alla perseverante motivazione dei musicisti Francesco e Biagio Calignano e alla bacchetta magica della Lizard Records (non nuova a queste operazioni), sono tornati alla luce a distanza di una trentacinquina d’anni con il cd I & II. Nel testo del libretto, a firma di Enrico Ramunni, con caratteri che richiamano la indimenticabile Olivetti lettera 32, si legge: “Le tracce di questo CD non sono un prodotto finito per amanti dell’alta fedeltà e non scaleranno le classifiche: forse però questa miscela di umori prog-folk, dissonanze kraut e tentazioni wave troverà orecchie attente e perspicaci, qualche puntino comincerà ad essere unito con linee differenti”.

Eccoci così arrivati alla seconda puntata di questa storia, che vede ancora protagonisti Francesco (chitarra, liriche, basso) e Biagio Calignano (piano, tastiere, basso synth, batteria), con svariati collaboratori (trombe, sassofoni, basso, vocalist) fra cui Mario Calignano (basso) presente nel primo disco. Formato da nove brani strumentali con qualche intervento lirico ben dosato, III presenta nel contempo elementi di continuità e di discontinuità rispetto a I & II. Che si tratti di musica di frontiera, allora come ora, non facilmente inquadrabile in un preciso filone, si evince dalla molteplicità degli influssi che spaziano dal prog di marca più psichedelica (notare l’inconfondibile composizione di colori nella copertina vintage di I&II) all’elettronica di ascendenza kraut e space rock con rimandi alla classica e al jazz.

I brani scorrono nel lettore alternando sonorità più nervose ad atmosfere più intimiste e ritmiche a tratti tribali che creano una tensione risolta ora improvvisamente (come ad esempio la chiusura dell’album), ora in modo sfumato. Viste le premesse non poteva mancare la componente avant-rock, diluita nelle varie tracce tanto che a un ascolto meno attento potrebbe passare inosservata. La peculiarità della formazione salentina si fonda (anche) sulla capacità di districarsi fra queste diverse contaminazioni, approdando ad una sintesi originale che, come Giano bifronte, invita a guardare contemporaneamente al passato e al presente in attesa delle mosse future. Il noto detto “non c’è due (II) senza tre (III)” ha colto ancora una volta nel segno. (MauroProg)